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di Paolo Di Stefano

Corriere della Sera, 17 ottobre 2023

“Oltre gli occhi” è il giornale delle detenute di San Vittore a Milano, coordinato da Renata Discacciati, che molti conoscono come appassionata editrice per ragazzi. Il nuovo numero chiede alle detenute di parlare del carcere che non c’è (e che vorrebbero). Avevo appena finito di leggere “Ne vale la pena” (Nutrimenti), il racconto di Carlo Mazzerbo (con Gregorio Catalano), ex direttore del carcere di Gorgona. Una delle rare esperienze davvero ispirate all’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità...”. Appena terminata quella storia di detenzione, riscatto e lavoro, mi è capitato sullo schermo Oltre gli occhi, il giornale delle detenute di San Vittore a Milano, coordinato da Renata Discacciati, che molti conoscono come appassionata editrice per ragazzi. Il nuovo numero chiede alle detenute di parlare del carcere che non c’è (e che vorrebbero).

Colpisce la precisione di diverse risposte, da cui emergono necessità e disagi quotidiani che ignorano “il senso di umanità” dell’articolo 27. Sentite Anto58, per esempio: “Potrei dire tante cose (...) iniziando dalla mancanza di una ginecologa, un supporto morale da parte di uno psicologo; celle puzzolenti e spesso indegne e come ciliegina sulla torta le turche al posto dei water, che solo a vederla fa pensare di essere nel terzo mondo”. E sentite soprattutto Lucia, che scrive una specie di ballata alla Villon in cui evoca con insistenza “il carcere che non c’è”, ovvero quel che non c’è nel carcere attuale, ma anche quel che c’è e non dovrebbe esserci. Sentite questa che sa di Papillon e dintorni: “Il carcere che non c’è non tortura al mattino chi vuole dormire passando con il martello a sbattere le sbarre delle finestre aperte, estate e inverno, con la scusa di vedere se sono intatte”. Non sarà la più grave ma nel 2023 è un’immagine (acustica) impressionante. “Il carcere che non c’è è quello che non trattiene i malati psichiatrici, che andrebbero in primis curati e non abbandonati nelle celle dove urlano l’attenzione che gli manca”. E ovviamente altro: “Il carcere che non c’è è quello dove le persone non elemosinano un’assorbente (sic), un paio di calzini, un sapone, come mendicanti per la strada per poi venderselo in cambio di tabacco”. E ancora: “Il carcere che non c’è evita le umiliazioni inutili come le perquisizioni corporali a chi fa un colloquio a distanza ecc.”. Finale, dopo un elenco di altre crudeltà facilmente evitabili: “Sarebbe tutto molto più semplice e logico, ma il carcere che non c’è, appunto, non c’è…”.