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di Elisabetta Andreis

Corriere della Sera, 5 giugno 2022

I genitori del 21enne suicida in carcere: questi ragazzi non sono criminali, aiutiamoli. “A certi ragazzi è come se mancasse la pelle. L’ipersensibilità non consente loro di gestire le emozioni e finiscono per farsi molto male, se non sono curati. Si chiama “disturbo borderline.

“A certi ragazzi è come se mancasse la pelle. L’ipersensibilità non consente loro di gestire le emozioni e finiscono per farsi molto male, se non sono curati. Si chiama “disturbo borderline di personalità a basso funzionamento” ed è incompatibile con il carcere. Giacomo si è tolto la vita a 21 anni a San Vittore e nessuno ora se ne può stupire”. Parole dure quelle di Maurizio e Stefania, papà e mamma di Giacomo Trimarco che non c’è più. I genitori mostrano tutta la forza disperata di chi ha combattuto per tanti anni “contro” servizi di salute mentale che “fanno acqua da tutte le parti”, dentro il carcere e anche fuori, sul territorio. Hanno l’urgenza di dare un senso al loro dolore: “Ci impegneremo perché non capiti a nessun altro, mai più”, dicono.

Sanno che c’è moltissimo da fare, per evitare che casi analoghi succedano ancora. Hanno aderito tempo fa ad una rete di genitori, “Ci siamo anche noi”, promossa da un’altra mamma, Maria Gorlani, e la sosterranno come meglio potranno. Giacomo si è suicidato con il gas dentro una cella del settimo reparto martedì a mezzanotte, a pochi giorni di distanza dalla morte violenta che si è procurato il ventiquattrenne Abou El Maati della cella vicina. “E noi lo abbiamo saputo solo mercoledì mattina, quando qualcuno ha avuto il pensiero di avvertirci”. Riavvolgere il nastro è doloroso. Erano i genitori attenti di due figli adottivi, ognuno problematico a proprio modo. Giacomo “pareva un angioletto. Era taciturno, anche troppo. Voleva la palla ma poi si sedeva a vedere giocare gli altri. Ad un certo punto si è come rotto un guscio.

Ne è uscito un bambino più vero, ma esplosivo”. Una serie di malintesi hanno determinato il peggio: i piccoli reati, i servizi sociali che lo hanno collocato in comunità educative e non terapeutiche, l’autolesionismo, le sostanze. Lo scorso agosto, per il furto di un telefonino, dritto a San Vittore. A ottobre, perizie psichiatriche alla mano, la disposizione di trasferirlo in una Rems (Residenze subentrate nel 2014 alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, ndr). Eppure il 31 maggio, a distanza di otto mesi e dopo altri tentativi di farla finita, Giacomo era ancora lì. ““Illegalmente” dentro, mentre doveva essere in una struttura di cura - piangono i genitori. Se può servire ad altri ragazzi, adiremo le vie legali”.

E ancora: “Se i servizi di salute mentale facessero il loro dovere, questi ragazzi al carcere non arriverebbero neanche. Non sono criminali. Per le loro condizioni psichiche non sarebbero neanche in grado di progettare reati”. Non riescono a studiare o lavorare, non sono in grado di gestire i propri documenti, gli occhiali, le chiavi di casa. Non sono capaci di prendere la patente o rispettare un appuntamento qualunque.

I servizi non li agganciano come dovrebbero. “Mancano le comunità terapeutiche per adolescenti, gli psichiatri e psicologi in carcere sono pochi, i giudici non hanno per legge il potere di ordinare l’ingresso nelle Rems che sono sottodimensionate rispetto al bisogno”. È stato fatto tutto, negli anni, perché quel ragazzo e la sua famiglia stessero un po’ meglio? La risposta dei genitori è un severissimo “no”.