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di Rosario Di Raimondo

La Repubblica, 12 marzo 2024

Intervista alla presidente del tribunale di Sorveglianza: “Quando risarciamo i detenuti stiamo affermando che c’è stata una costrizione illegittima, una contraddizione, e molti vincono le cause”.

Giovanna Di Rosa, presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, nel primo mese del 2024 il numero di ricorsi presentati dalle persone recluse per detenzione inumana e degradante supera quello dell’intero 2023. Cosa sta succedendo?

“Penso che sia il risultato di due fattori: da un lato il cresciuto sovraffollamento, dall’altro le celle molto più chiuse di un tempo, per via di una circolare del luglio 2022 alla quale però non si è potuta accompagnare un’effettiva previsione di attività trattamentali garantite a tutti, a causa delle effettive disponibilità delle strutture penitenziarie”.

Le celle sono sovraffollate e i detenuti devono starci di più per mancanza di alternative...

“La percentuale altissima di sovraffollamento induce i detenuti a presentare i ricorsi, molti dei quali vengono accolti. La fortissima impennata è un’altra emergenza”

Che riflessioni se ne possono trarre?

“Penso che ci sia sempre la possibilità di recuperare il buono che per natura esiste in ogni persona, anche se ha commesso un reato. Il rischio, se la legalità non riesce ad affermarsi, è quello di restituire alla società delle persone uguali, se non peggiori rispetto a quando sono entrate in carcere. Quando risarciamo i detenuti, stiamo affermando che c’è stata una carcerazione illegittima. Una contraddizione. È molto difficile pretendere legalità da una carcerazione che ha portato a dover risarcire un danno”.

Di quante carceri e detenuti vi occupate?

“Tredici carceri, per oltre 7 mila detenuti, senza dimenticare le migliaia di persone che sono fuori: dai domiciliari a chi è in libertà vigilata. E noi siamo 24 magistrati, alle prese anche con una grave carenza di personale amministrativo”.

Quali sono le difficoltà maggiori del carcere?

“A Milano abbiamo dei primati - o il secondo posto, a seconda dei momenti - a livello nazionale: il maggior numero di detenuti, la maggiore percentuale di sovraffollamento e la maggior percentuale di stranieri. Un aspetto che rende la carcerazione più complessa e difficile”.

Tutto ciò come si ripercuote sulle persone recluse?

“Un tema molto forte è il diritto alla salute. Ci sono due criticità: i ritardi per ottenere visite e ricoveri programmati e i problemi per le scorte di polizia penitenziaria che devono accompagnare i detenuti in ospedale. Se una visita viene fissata in ritardo, e se il ritardo è ulteriormente appesantito dal fatto che non ci sono scorte sufficienti per accompagnare il detenuto, è difficile sostenere nella decisione che la persona è curata adeguatamente al pari di quanto avverrebbe all’esterno”.

Senza contare le persone con problemi psichiatrici...

“Un problema in crescita in particolare fra gli stranieri. Soprattutto per il carcere di San Vittore, molti di loro sono stati arrestati arrivando dalla strada, hanno disturbi legati alla provenienza, ai disturbi post traumatici da stress per le torture subite nei Paesi d’origine. I gesti autolesivi sono tantissimi. Per non parlare dei suicidi, tentati o, purtroppo, a volte riusciti. San Vittore raccoglie molte di queste situazioni, che sono difficili da gestire. Le carenze del sistema sanitario ricadono anche sulle carceri”.

Nei mesi scorsi un uomo ha ucciso e fatto a pezzi la vicina di casa: lui doveva stare in una Rems ma non c’era posto...

“Non ci sono posti sufficienti nelle Rems perché la legge ha voluto prevedere il numero chiuso: se fosse così anche per le carceri, paradossalmente non avremmo sovraffollamento… Servono assolutamente più Rems, o più posti nelle residenze che ci sono già, che sono di gestione esclusivamente sanitaria. È indispensabile, perché oltre al caso drammatico che lei ha citato ci sono tante persone in attesa: nel frattempo sono libere ma socialmente pericolose, oppure detenute in carcere, dove in realtà non potrebbero stare”.

A San Vittore si discute molto dell’inchiesta “bis” su Alessia Pifferi che ha portato all’indagine su un gruppo di psicologhe. Che idea si è fatta?

“Non voglio e non posso entrare nel merito dell’indagine. Dico soltanto che ho la massima considerazione della professionalità e della generosità degli operatori che lavorano in tutti gli istituti penitenziari del distretto, nessuno escluso”.