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di Mario Consani

La Repubblica, 19 aprile 2024

Quando tutto manca, la fantasia aiuta a sopravvivere nelle celle. Una mostra raccoglie e racconta gli oggetti inventati dai detenuti per sopperire a tutto quello che è proibito: dalla grattugia per il formaggio al frullatore. Per inventarsi un frullatore, in fondo basta togliere le pale al ventilatore (che in carcere si può tenere) e infilare nella base del motore tre forchette di plastica fuse a corpo unico che, in effetti, gira come un (quasi) normale sbattitore a frusta. Nella “cucina” di ogni cella manca tutto ma non la fantasia nell’arte di prepararsi il cibo, attività primaria per chiunque trascorra dietro le sbarre la maggior parte della giornata. Così da oggetti semplici ne nascono altri un po’ più raffinati.

Dall’anima di un rotolo domopack si può ottenere un mattarello per tirare la pasta fatta in “casa”, e per tagliarla c’è una rotella con due bastoncini del gelato a bloccare e far girare una gomma da cancellare di quelle dure e rotonde. Per il grana (grattugia proibita) ci si arrangia con una scatoletta di tonno bucherellata con una vite nella base di latta.

“Oggetti d’evasione”, insomma - che è poi il titolo della mostra ospitata fino a domenica (ore 11-20) alla Fabbrica del Vapore per il Fuorisalone - ma anche espressione di un design “carcerario” che libera per lo meno le menti. E che a volte spiazza e sorprende, come nel caso del forno da cella realizzato con due fornelletti a gas appaiati, pentola con coperchio, scatola di latta e fogli di alluminio ad avvolgere il tutto e creare le condizioni per la perfetta cottura di una pizza in venti minuti, come assicura l’autore Matteo Zufrano nella didascalia del catalogo realizzato per la rassegna di questi straordinari utensili da cella.

L’idea della mostra è venuta alla giornalista Susanna Ripamonti, da più di 15 anni direttrice della rivista carceraria carteBollate, e al designer Alessandro Guerriero, docente di social design alla Naba, la Nuova accademia delle belle arti, che ha coinvolto una decina di studenti del suo corso e una quindicina di detenuti del carcere di Bollate diretto da Giorgio Leggieri.

La rassegna, che dalla prossima settimana si sposta nel negozio del Consorzio Vialedeimille, offre “la possibilità di immaginare la vita di tutti i giorni in una struttura dove alla privazione della libertà si aggiunge l’assenza degli oggetti che accompagnano i nostri gesti quotidiani”, ricorda Ripamonti. E allora ecco come ricreare quegli stessi oggetti in altro modo. Cartone, spago, tappi di bottiglia e corda per un artigianale portarotolo, per esempio, perché la carta igienica non si può sempre tenerla in mano. O una calza ripiena di fagioli e chiusa con lo spago, che riscaldata sul gas e messa attorno al collo può servire - garantisce la creatrice Maila Conti - ad attenuare i dolori cervicali. C’è anche l’appendino in plastica che con due mezze bottiglie d’acqua vuote ai bordi, collegate da uno spago, tiene la camicia lavata ben stesa e pronta per essere indossata senza stiro.

E c’era (perché ora non lo usano più) un tubo fatto con bottiglie di plastica vuote “per prendere l’acqua dal lavandino e farla scorrere in un secchio dove tenere l’anguria al fresco d’estate” scrive Umberto Spinelli. Attrezzo felicemente superato: troppo era lo spreco d’acqua e così in carcere sono arrivati i soldi per l’acquisto di piccoli frigoriferi.