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di Giulia Crivelli

Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2024

Del marchio di borse e piccoli accessori La Milanesa si può dire che sia nativo sostenibile, più ancora che nativo digitale, pur essendo nato a rivoluzione digitale in atto. Fin dalla sua fondazione, nel 2019, il marchio ha scelto di produrre artigianalmente - e già questa può essere considerata una caratteristica di sostenibilità sociale - e di farlo grazie all’impegno di persone, per la stragrande maggioranza donne, che vivono in Rsa o case di cura per anziani.

A loro Cinzia Macchi, fondatrice de La Milanesa, affidò la creazione delle coperte con le “mattonelle” a uncinetto, con le quali venne confezionatala prima collezione di borse. Da allora l’imprenditrice e stilista ha perso il conto dei tentativi, più o meno riusciti, di imitazione delle sue borse a uncinetto. Anche perché, delusione e amarezza personale a parte, Cinzia Macchi ha continuato a disegnare collezioni, sempre associate a pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale (di riciclo e riuso) e sociale.

Di pari passo, in cinque anni, è cresciuta l’azienda, aprendo monomarca (quello di Milano è in corso Garibaldi) e ampliando la distribuzione nei multimarca e online. Ora si aggiunge un tassello importante, la collaborazione con la sezione maschile del carcere di Opera, alle porte di Milano. “Molte carceri italiane hanno laboratori interni di sartoria e negli anni sono nati veri e propri marchi per vendere all’esterno le creazioni fatte in questi laboratori - racconta Cinzia Macchi -.

Il nostro progetto è diverso perché affidiamo a un gruppo di detenuti una produzione che poi sarà sul mercato col marchio La Milanesa. Sono anche molto felice del fatto che siano uomini a dedicarsi al progetto, andando oltre lo stereotipo che a tagliare e cucire siano soprattutto le donne”. La collaborazione tra Cinzia Macchi e il suo marchio La Milanesa con il carcere di Milano-Opera non sarebbe stata possibile senza l’intermediazione della cooperativa sociale Opera in Fiore, che gestisce il laboratorio di sartoria interno al carcere: si chiama Borseggi e negli anni è diventato anche il marchio dei prodotti confezionati dai detenuti e poi venduti in canali come gli empori di prodotti solidali. “Opera in Fiore è nata nel 2004 e per statuto è una cooperativa sociale, senza fine di lucro, ma con dipendenti e un bilancio”, racconta Elisabetta Ponzone, ideatrice, insieme alla socia Federica Dellacasa della sartoria Borseggi.

All’inizio la cooperativa si occupava dell’inserimento lavorativo nel settore del verde di persone svantaggiate, disabili, detenuti e migranti lavorando con aziende e privati a Milano e nel territorio circostante e creando e pulendo aree verdi, giardini, parchi e terrazzi e vendendo piante. Poi è arrivata anche la sartoria Borseggi. “Non è necessario che i detenuti abbiano una precedente esperienza come sarti. Anzi, è ancora più prezioso, crediamo, un percorso di formazione ex novo - racconta Elisabetta Ponzone -, che permetta ai detenuti di imparare un lavoro artigianale. Come ogni altro progetto di Opera in Fiore, l’obiettivo è costruire percorsi virtuosi di responsabilità sociale ed economia circolare, che combattono recidiva e pregiudizio, come dimostrano i dati sull’efficacia di dare a chi sconta una pena, anche lunga, una prospettiva o, se vogliamo, una reale e concreta seconda possibilità”.

Le borse create per La Milanesa da un gruppo dei detenuti impegnati nella sartoria Borseggi sono molto semplici: “Stanno già lavorando alle dust bag, quei sacchetti che i marchi della moda danno a chi compra una borsa per proteggerla - spiega Cinzia Macchi. Dust infatti in inglese significa polvere e i marchi di alta gamma investono molto in questi dettagli, che possono fare la differenza. Dalle dustbag, per le quali abbiamo fornito materiali, formazione e macchine da cucire ad hoc, i detenuti passeranno alle borse vere e proprie. Il primo modello è una “shopper”, con una forma molto semplice. Ma semplice, nella moda e non solo, non significa facile e per il marchio La Milanesa la differenza la fanno da sempre i dettagli e i materiali e la cura e passione delle persone che creano le borse”.

Elisabetta Ponzone sottolinea l’importanza di coinvolgere in progetti come Opera in Fiore il settore privato e, se si parla di sartoria, marchi della moda: “Negli anni ho capito che la cosa più importante è fare davvero rete. Il che significa avvicinarsi gli uni agli altri facendo ogni sforzo per abbandonare pregiudizi e preconcetti e poi porsi un obiettivo chiarendosi che lo si può raggiungere solo tutti insieme”. Una visione pienamente condivisa da Cinzia Macchi: “L’economia circolare, di cui tutti parlano, riguarda anche le persone. Non importa quanto orribile sia il passato, dobbiamo sempre pensare che un futuro migliore sia possibile”.