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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 15 gennaio 2024

Sei anni, 16 udienze e 2 giudici, tutto a spese dello Stato. L’emblematico caso del contenzioso tra due ex amici: la lite è accaduta il 17 febbraio 2017, ma tra tentativi di conciliazione, Covid e rinvii la sentenza è arrivata solo a novembre 2023 Duemila settecento settanta due giorni, sei anni e due mesi trascinatisi in 16 udienze, per un banale processo a un solo imputato, con un solo testimone da sentire davanti al giudice di pace, su una sola imputazione di lesioni personali, foriera di una prognosi di soli cinque giorni per un asserito pugno tra due coinquilini sul pianerottolo di casa, con il coinvolgimento di due giudici avvicendatisi, nove diversi viceprocuratori onorari scomodati a rappresentare l’accusa nelle varie udienze, altrettanti cancellieri man mano di turno, due avvocati, il personale di un centro di mediazione, e tutto peraltro a spese dello Stato con il “gratuito patrocinio” degli onorari legali dei due litiganti ammessivi in forza dei limiti di reddito dichiarati: un ideale viatico per le imminenti cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario ad opera di ministri, Csm, magistratura e avvocatura, che al solito conteranno quanti (tanti-troppi) siano i processi, e quanto (tanto-troppo) durino, e quanto (troppo) si sprechino le (già troppo poche) risorse di personale e mezzi disponibili per farvi fronte.

La “banalità” del caso - E pensare che tutto principiò dalle torte: quelle che due amici, peraltro inquilini a due piani diversi della stessa casa popolare a Milano, avevano preventivato di produrre e vendere assieme, a questo scopo iniziando a comprare (la parte offesa con l’anticipo di propri 20mila euro) un furgone coibentato concordemente intestato a un terzo amico pure parte del sogno imprenditoriale. Poi però la progettata attività imprenditoriale non decolla, e chi aveva messo i soldi del furgone si presenta il 17 febbraio 2017 a bussare a casa dell’amico, inquilino nella stessa casa Aler, per chiedergli conto della situazione. Ne nasce un parapiglia, nel quale la parte offesa lamenta di aver subito un pugno da parte dell’imputato, pugno le cui prospettate conseguenze vengono refertate in una prognosi di cinque giorni di guarigione. Processo risolto in una udienza di poche ore? Eh no.

I tentativi di accordo - Il 28 marzo 2018 il giudice onorario di pace invita i due a trovare un accordo stragiudiziale diretto alla remissione della querela, ma l’astio tra le parti non fa raggiungere questo risultato: fallimento di cui nella seconda udienza il 12 giugno 2018 i legali danno atto al giudice di pace, che cerca comunque di indirizzare le parti a un tentativo di conciliazione in udienza, che pure fallisce. Ciò nonostante il giudice le invia al “Centro di mediazione sociale e penale di Milano”, e rinvia al 23 ottobre 2018. Quel giorno legge il risultato: il relatore del Centro di mediazione comunica che imputato e parte offesa nemmeno ci pensano a conciliarsi. Rinvio al 12 febbraio 2019, giorno in cui il giudice acquisisce la relazione negativa del centro di riparazione, il denunciante si costituisce parte civile, il processo viene dichiarato aperto e l’istruzione dibattimentale fissata al 17 luglio 2019.

Le liti in aula - Qui il pubblico ministero domanda solo l’esame della parte offesa ed eventualmente dell’imputato, gli avvocati delle due parti, Claudio Oldani e Maurizio Terragni, non depositano alcuna lista testi e si limitano a chiedere il controesame: si farà quindi tutto nella successiva udienza del 22 gennaio 2020? No, perché il giudice di pace torna a tentare una conciliazione, proponendo anche una somma risarcitoria: udienza più volte sospesa, conciliaboli tra le parti, gli avvocati cercano di convincere i due ex amici che invece, divenuti acerrimi e irriducibili nemici, non accettano e anzi - come risulta dal surreale verbale d’udienza - “litigano davanti al giudice”. Che a quel punto assume la testimonianza della parte offesa, e rinvia al 7 aprile 2020 per l’esame imputato, la requisitoria, le arringhe e la sentenza.

A quel punto ci si mettono però le sospensioni dei processi per il Covid, quindi due rinvii prima al 9 giugno e poi al 25 novembre 2020, allorché viene interrogato l’imputato, il giudice decide che ha bisogno di sentire un teste, e il processo viene aggiornato (per questo e per la conclusione) al 31 marzo 2021. Ma quel giorno l’Unione delle Camere Penali indice uno sciopero, al quale aderisce l’avvocato dell’imputato: si rinvia al 15 settembre 2021. Solo che, nel frattempo, scorre non solo il processo ma anche la vita delle persone. E ad esempio cambia il giudice titolare del dibattimento. Le parti, almeno su questo, si mettono una mano sulla coscienza e non fanno ricominciare tutto da zero ma “prestano il consenso alla conservazione degli atti sin qui svolti”.

L’epilogo - Il nuovo giudice, “al fine di valutare l’opportunità di proseguire l’istruttoria”, rinvia di sette mesi al 22 marzo 2022, quando però l’imputato presenta un “legittimo impedimento” a comparire in udienza: altro rinvio di otto mesi al 30 novembre 2022. Finalmente viene esaminato l’unico teste, poi la discussione finale viene calendarizzata a sei mesi dopo, 23 maggio 2023, data che in seguito viene d’ufficio rinviata di altri quattro mesi al 27 settembre e poi ancora di due mesi al 29 novembre 2023, allorché finalmente viene pronunciata la sentenza. Di cui peraltro la motivazione (in teoria entro 15 giorni) non è ancora stata depositata dopo un mese e mezzo.