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Il Dubbio, 19 luglio 2023

Caldo, sovraffollamento, rischio sanitario e suicidario: gli avvocati milanesi puntano i fari sugli istituti penitenziari. La Lumia: “Il nostro sguardo lì dove gli altri lo distolgono”. I racconti dell’estate rovente di questi giorni stanno lasciando fuori un grande assente: il carcere. Gli istituti penitenziari italiani, al collasso non da oggi, affrontano questa estate dalle temperature eccezionali in una condizione di estrema difficoltà, con rischi altissimi per la salute dei detenuti e di tutti coloro che in carcere ci lavorano.

Ha valore di testimonianza e di impegno la decisione di voler tenere la prossima seduta del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano - convocata per oggi, 19 luglio - presso il Carcere di Milano “S. Vittore”. Alla seduta del Consiglio interverranno anche la dottoressa Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, il dottor Giacinto Siciliano, direttore della Casa circondariale “Francesco Di Cataldo” (Carcere di San Vittore), la provveditrice per l’amministrazione penitenziaria della Lombardia Maria Milano Franco D’Aragona, Valentina Alberta, presidente della Camera Penale di Milano e Patrizia Pancanti, presidente Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Milano.

“Il carcere sembra sia un luogo dell’altrove - dichiara Antonino La Lumia, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano -. Nonostante uno degli istituti di pena simbolo della nostra città sia inglobato nel centro cittadino, è ancora troppo lontano dalla società, dal territorio, dai tavoli istituzionali. Si fa molto, ma pur sempre mai abbastanza. In questa stagione così calda, il nostro sguardo va rivolto esattamente lì dove non si vuol vedere la pena aggiuntiva delle condizioni di vita inumane”.

“Come Consiglio dell’Ordine di Milano e in particolare con la Commissione “Libertà personale e Carcere” - commenta Beatrice Saldarini, coordinatrice della Commissione libertà personale e carcere dell’Ordine degli avvocati di Milano - continueremo ad impegnarci, dialogando con tutte le parti, affinché la custodia cautelare in carcere venga riservata solo ad ipotesi eccezionali di rilevante pericolosità, come estrema ratio e non come incostituzionale anticipazione di pena. Medesimo impegno continuerà ad essere rivolto alla tutela dei principi costituzionali sulla risocializzazione del detenuto, sull’assistenza sanitaria, sul diritto all’affettività, al lavoro, all’istruzione, alla libertà di culto”.

In Lombardia ad oggi, secondo la Commissione regionale “Tutela dei diritti delle persone private della libertà personale e condizioni di vita e di lavoro negli istituti penitenziari”, presieduta da Alessia Villa, i detenuti sono 8.156, dei quali 382 donne e 7.774 uomini, a fronte di una capienza massima di 6302 persone. Tra i detenuti oltre il 50 per cento è tossicodipendente, più del 40 per cento ha un’età compresa tra i 30 e i 44 anni.

Circa il 13 per cento ha almeno due figli. Una popolazione mediamente giovane, in una condizione di forte disagio ed emarginazione sociale. Sono numeri che impressionano e che devono far riflettere sulla situazione di sovraffollamento perenne in cui versa il nostro sistema carcerario, spesso con intollerabili condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari che d’estate si aggravano ulteriormente. A questo quadro occorre aggiungere il numero importante dei detenuti malati psichiatrici, sempre crescente, in ragione della carenza di strutture idonee ad assicurare un trattamento medico- sanitario adeguato alle loro condizioni di salute.

L’esito della situazione di emergenza è tragicamente testimoniato dal numero record di decessi in carcere nel 2022: 203 e tra questi 84 suicidi. Il bilancio 2023 ad oggi è di 32 suicidi. Condizioni di vita intollerabili e assenza di prospettive, come ha sottolineato il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma nella sua ultima relazione al Parlamento, pesano sul fenomeno dei suicidi in carcere che non può essere ricondotto solo alle condizioni materiali di degrado delle strutture degli istituti di pena o al loro sovraffollamento, ma “pesa anche la mancanza di prospettive di un effettivo reinserimento nella vita sociale, di riferimenti di sostegno, di possibilità di superamento dello stigma sociale, avvertito come presente e inalterato”.