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di Simona Spaventa

La Repubblica, 26 marzo 2024

L’esperimento sociale di un tour tra i penitenziari per proporre a chi si trova recluso una storia nella quale ciascuno può sentirsi coinvolto. Mostrare un film prima che nei cinema nelle carceri, ai detenuti che possono trovare affinità e ispirazione in una storia che parla della difficoltà di tornare a una vita normale dopo aver scontato una pena. È il modello innovativo che la casa di distribuzione milanese Lo Scrittoio sta sperimentando con La seconda vita, il film di Vito Palmieri in uscita nelle sale il 4 aprile che ieri è stato proiettato nel carcere di Bollate, tappa milanese di un tour di anteprime con il regista negli istituti detentivi iniziato a Bologna e che toccherà anche Trento, Bolzano, Trani, Volterra e Rebibbia.

Lasciati i cellulari e i documenti in guardiola, si varca la prima di tante porte blindate per entrare nel carcere. Accompagnati da secondini, si percorrono lunghissimi corridoi a piano terra, le sbarre alle finestre, fuori scorci di periferia o angoli di giardino circondato da mura invalicabili, dentro il bianco interrotto dai colori sgargianti dei murales del carcere modello.

Nella zona industriale, quasi di fronte al call center in cui lavorano molti detenuti, nel cineteatro di duecento posti il regista, l’attore Giovanni Anzaldo e la produttrice Chiara Galloni di Articolture presentano il film alla platea di detenuti: le donne, una ventina, in prima fila, separate da due file di poltroncine dagli uomini molto più numerosi, una sessantina. “Il film - spiega il regista - nasce dopo un percorso di lezioni di cinema nel carcere di Bologna da cui sono nate diverse idee di cortometraggi. Mi ero molto legato ai detenuti, e dopo il corso mi sono chiesto: Che vita faranno dopo? Chissà se potranno avere una vita normale, una reintegrazione non solo sociale e lavorativa ma anche emotiva?”.Il tentativo di riconquistare una vita normale, e di innamorarsi, è al centro del film, dove Anna (l’attrice Marianna Fontana, protagonista nel 2018 di Capri-Revolution di Mario Martone dopo il folgorante esordio nel 2016 con Indivisibili di Edoardo De Angelis) trova lavoro in una biblioteca di un paesino dell’Appennino. Misteriosa e solitaria, cela a tutti il suo passato e stringe un legame affettivo con il timido Antonio (Giovanni Anzaldo). Quando la terribile verità verrà fuori, l’atteggiamento di tutti verso di lei cambierà: il giudizio degli altri, a differenza delle sentenze e delle condanne, sembra non finire mai. Ma Anna troverà la forza di andare avanti e di affrontare la persona che più teme, la madre.Brusio tra gli spettatori nei momenti clou, attenzione costante, interesse. Quando si riaccendono le luci in sala l’emozione è evidente. Catia Bianchi, la funzionaria del carcere che ha coordinato la proiezione, è la prima a intervenire: “È un film forte visto in un carcere. Sentivo un’aria pesante il sala, credo dovuta al coinvolgimento sulla propria pelle di quello che avete rappresentato, sono cose che toccano da vicino chi sta qui dentro. E avete affrontato il tema della giustizia riparativa, ossia il dialogo tra la vittima o il parente della vittima e l’autore del reato: credo sia una delle esperienze più alte che si possano fare”. Rotto il ghiaccio, sono parecchi i detenuti che chiedono la parola. “Un film forte - dice il primo con accento sudamericano -. Parte anche tanto dalla consapevolezza, dalla sofferenza e dal coraggio di chiedere aiuto. Se non siamo noi i primi a essere consapevoli di quello che vogliamo, non c’è poi la forza di chiedere aiuto”. “Qui si fanno dei corsi di mediazione di conflitto - dice un altro -. È complicato, difficile, ma con tutti i miei anni di carcere finalmente ho chiesto aiuto. Se hai un problema con l’alcol o con la droga, per cambiare devi chiedere aiuto, ma lo devi volere tu. Nel film i due si sono dati una mano a vicenda. E anche perdonare è un percorso lungo e doloroso, non è facile perdonare ma bisogna mettersi nei panni di chi ha commesso un reato, anche se immedesimarsi è difficile”.

Arriva anche il direttore del carcere Giorgio Leggieri. C’è chi chiede se è una storia vera, chi riflette sul percorso che sta facendo, e chi, semplicemente, dice grazie: “Ringrazio per averci fatto partecipi di questo film - dice un detenuto - è molto bello, tante tematiche ci toccano dentro. Consapevolezza è una parola che sento molto spesso da quando sono qui, bisogna rifletterci sopra”.