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di Federica Venni

La Repubblica, 24 aprile 2024

La denuncia di una madre sui pestaggi in carcere al Beccaria: “Mio figlio ha preso “solo” qualche schiaffo e qualche pugno, ma non è mai stato preso davvero di mira come invece accadeva agli stranieri”. Elisabetta (il nome è di fantasia), 42 anni, è la mamma di un ragazzo che dal 2021 entra ed esce dal Beccaria per rapina. Da lei è partita una delle segnalazioni che ha poi fatto scattare l’inchiesta della procura. “Lui ancora è fortunato, perché ha una famiglia con cui parlare”.

E gli altri invece?

“Un ragazzo che ho conosciuto è stato chiuso in una stanza e massacrato di botte. A colpire era, spesso, lo stesso agente, noto a tutti in carcere proprio per la frequenza e il modo in cui alzava le mani. Le vittime erano soprattutto ragazzi che durante i colloqui non avevano nessuno con cui parlare, stranieri non accompagnati ad esempio. Gli agenti non vedevano madri attente o familiari ai quali i detenuti potessero raccontare le violenze”.

Ma nessuno ha mai detto nulla?

“Mai. Nemmeno quando mio figlio è stato stuprato da un gruppo di altri ragazzi. L’agente presente, quando ha capito la situazione, se n’è andato lasciando che lo aggredissero, trovando tutto il tempo per oscurare le telecamere con sedie e oggetti vari. Le guardie sono arrivate solo mezz’ora dopo, quando la segnalazione di un giovane estraneo al gruppo li ha costretti a intervenire. Appena ho scoperto l’episodio sono corsa al Beccaria chiedendo di parlare con quello che credo fosse il comandante della polizia penitenziaria: “Signora cosa vuole che sia”, mi ha detto. Lui era persino peggio degli agenti perché nascondeva tutto quanto. E il giorno della violenza non gli ha nemmeno fatto fare una telefonata a casa”.

Ha paura per suo figlio?

“Se gli torcono anche solo un capello mi incateno davanti al tribunale. Non gli ho ancora parlato dopo le indagini, ma l’assistente sociale, fortunatamente, mi telefona tutti i giorni per dirmi che sta bene”.

Crede ancora nella funzione educativa che dovrebbe avere il carcere per questi ragazzi?

“Lo vorrei tanto, tantissimo. Ma mancano i fondi per queste strutture, dove purtroppo ci sono esseri che non riesco nemmeno a definire persone e che fanno ciò che stiamo vedendo. Vorrei tanto che il Beccaria fosse come l’Ipm della serie televisiva “Mare Fuori”, dove si aiutano i detenuti a ricominciare. Ma la realtà è un’altra”.