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di Rosario Di Raimondo

La Repubblica, 12 marzo 2024

In due mesi oltre 500 denunce, la stessa cifra dell’intero anno scorso. I problemi sono gli spazi ridotti, le attività scarse e le celle sempre chiuse. Dal sovraffollamento alle celle troppo “chiuse”: è boom di ricorsi di detenuti che denunciano “trattamenti inumani e degradanti” in carcere, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Come certifica il tribunale di Sorveglianza di Milano, che ha competenza non solo sul capoluogo lombardo ma anche su altri istituti penitenziari della regione, dal primo gennaio al 10 febbraio di quest’anno, quindi in poco più di un mese, le nuove denunce registrate sono state 555. A colpire è il confronto con il passato: il dato, seppur parziale, è già più alto dell’intero 2023 (quando i reclami furono 477 in dodici mesi) e di tutto il 2022 (534). Dato che potrebbe rappresentare una spia sul peggioramento delle condizioni delle persone recluse.

Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese, a gennaio, la Camera penale guidata da Valentina Alberta aveva denunciato: a San Vittore il sovraffollamento supera il 230 per cento. In celle pensate per due persone, convivono in cinque. Altro che i tre metri quadrati di spazio che andrebbero garantiti dietro le sbarre. Venerdì scorso, davanti al ministro della Giustizia Carlo Nordio, è stato Giovanni Rocchi, presidente dell’Unione lombarda degli ordini forensi, a rimarcare: “Siamo una delle regioni più industrializzate del mondo ma abbiamo due carceri che si giocano il primato di peggior carcere d’Italia (per il sovraffollamento, ndr). San Vittore e Canton Mombello a Brescia concorrono tra prima e seconda posizione. L’avvocatura non può tacere”.

Dopo la sentenza “Torreggiani” del 2013, che condannò l’Italia per la violazione dei diritti in carcere, il nostro ordinamento penitenziario rispose con gli articoli 35 bis e ter: nei casi di trattamenti “inumani” riconosciuti dai tribunali di Sorveglianza, i detenuti hanno diritto a ottenere una riduzione della pena ancora da scontare pari a un giorno per ogni dieci di detenzione. Se nel frattempo le persone recluse espiano la pena, hanno diritto a un risarcimento di 8 euro per ogni giorno di detenzione ingiusta.

Questa montagna di ricorsi si ripercuote sui magistrati che devono decidere se dare ragione o torto ai detenuti: il giudice monocratico instaura il procedimento, celebra l’udienza, verifica le condizioni di carcerazione - i metri quadrati, gli orari di apertura delle celle, le attività svolte in carcere o fuori, l’arrivo della luce diretta - e se vengono riscontrate irregolarità scatta il provvedimento che riduce la pena o impone il risarcimento economico. Il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) può impugnare le decisioni facendo ricorso in secondo grado. Alla fine c’è la Cassazione.

Oltre al sovraffollamento, fanno notare gli addetti ai lavori, incide molto il fatto che le celle sono più chiuse rispetto a prima, per tanti motivi: dalla mancanza di alternative concrete alla pura detenzione al fatto che dal punto di vista della sicurezza è più semplice tenere una porta chiusa. Con questi numeri, è logico supporre che per il tribunale di Sorveglianza di Milano il 2024 non sarà un anno facile. A gennaio i ricorsi pendenti, quindi ancora da valutare, erano 387, ai quali si sono sommati i 555 nuovi ricorsi registrati, cioè i sopravvenuti. A giudicare da come è andato il 2023, la maggior parte dei reclami viene accolta. I giudici milanesi l’anno scorso hanno definito 483 procedimenti: in 300 casi i ricorsi per la riduzione della pena o il risarcimento sono stati accolti, mentre 73 richieste sono state rigettate e 84 sono state giudicate inammissibili.