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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 17 giugno 2022

La conferma per chiudere il ricorso della famiglia alla Corte europea di Strasburgo: l’Italia ammette di avere violato l’articolo 2 della Convenzione (diritto alla vita).

L’Italia ammette in un documento ufficiale, di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu), di avere violato l’articolo 2 della Convenzione (diritto alla vita) quando nel 2009 nel carcere milanese di San Vittore non ha saputo adottare le misure sanitarie e penitenziarie necessarie a tutelare la salute psicofisica e a prevenire gesti autolesionistici di un detenuto di 28 anni con problemi psichiatrici, impiccatosi in cella a mezzanotte e mezza del 12 agosto 2009 poche ore dopo che i colloqui con una psicologa e una psichiatra le avevano indotte a revocare la sorveglianza a vista e a declassarne il regime di controllo.

Il governo lo fa in una lettera dell’Avvocato dello Stato, Lorenzo D’Ascia, nel procedimento alla Cedu scaturito dal ricorso presentato dalla famiglia del detenuto con gli avvocati Andrea Del Corno, Alice Pisapia e Emanuela Strina: e lo fa nonostante nei tre processi italiani l’iniziale condanna-pilota in Tribunale a Milano nel 2014 di una psicologa e del Ministero della Giustizia (come responsabile civile per mezzo milione di euro di danni) fosse stata poi ribaltata dall’Appello nel 2015 e dalla Cassazione nel 2016 in una assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”, nell’assunto che il suicidio fosse stato un esito imprevedibile e rispetto al quale era stato fatto tutto il possibile.

Ma per scongiurare che il ricorso della famiglia a Strasburgo potesse invece sfociare ora in una condanna europea dell’Italia, ecco che Roma - per chiudere la procedura in base al regolamento della Corte - ha scelto di ammettere la violazione della Convenzione e di offrire alla famiglia un risarcimento dei danni morali, pari a 32.000 euro. Iniziativa che il padre e i fratelli accettano soprattutto perché vi valorizzano (accanto al riconoscimento della violazione dei diritti del figlio) la terza componente: e cioè l’impegno che l’Italia promette a Strasburgo di mettere in atto le misure, comprese quelle legislative, idonee a garantire in carcere la migliore assistenza alle persone con patologie psichiatriche.

Luca Campanale, 28 anni, affetto da un “disturbo organico della personalità derivato da pregresso grave trauma cranico” in un incidente stradale a 17 anni, e peggiorato poi dall’abuso di alcol e stupefacenti, dopo l’arresto per uno scippo era stato in custodia cautelare due mesi a Pavia, fino a essere trasferito a San Vittore.

Il suo posto “giusto”, e cioè il posto idoneo per un detenuto che arrivava con “un ben evidente quadro psicotico persecutorio” e con una cartella clinica martoriata da 9 atti di autolesionismo o tentativi di suicidio in 4 mesi, sarebbe dovuto essere nel reparto di massima sorveglianza a vista. Ma nell’estate 2009 non c’era posto: il sovraffollamento di tutto il carcere (1.400 detenuti stipati all’epoca in una capienza teorica da 800 posti) era sovraffollamento anche di quello specifico delicato reparto. E in questo contesto il 30 luglio la psicologa “aveva revocato la sorveglianza a vista e l’inserimento nelle celle a rischio”, mentre la psichiatra “non aveva disposto alcun regime di sorveglianza ma aveva ridotto il presidio farmacologico sulla base di una non riscontrata alleanza terapeutica”.

Partito dall’iniziale contestazione in Corte d’Assise di “abbandono di persona incapace” a provvedere a se stessa, e approdato poi alla riformulazione in “cooperazione in omicidio colposo” di competenza del giudice monocratico Fabio Roia (oggi presidente vicario del Tribunale) milanese, il complicato processo si era sviluppato tra diari clinici, consulenze tecniche e circolari penitenziarie fino alla sentenza che in primo grado aveva assolto la psichiatra ma condannato a 8 mesi la psicologa e (in solido responsabile civile) il Ministero a risarcire ai genitori del detenuto un anticipo di quasi 530 mila euro. Statuizioni civili però cadute con le assoluzioni in Appello e Cassazione.