www.quartaparetepress.it, 3 gennaio 2015
Proseguono le interviste di QuartaParete nell'ambito dell'inchiesta finalizzata a conoscere meglio gli operatori culturali che svolgono attività all'interno delle istituzioni carcerarie. È la volta di Bano Ferrari.
Clown, docente universitario, scrittore, regista ed esperto in attività pedagogiche, nonché vincitore di diversi premi internazionali tra i quali l'Unicef 2001 come "Esperto qualificato nel recupero dei minori in difficoltà", Bano Ferrari, nel 1978, fonda il gruppo dei Barabbàs clown grazie all'incontro con i ragazzi del Centro salesiano di Arese, ex sede distaccata del penitenziario minorile Beccaria, rilevato dai salesiani negli anni Cinquanta e trasformato da centro detentivo in centro educativo per la valorizzazione della personalità e lo sviluppo della formazione dei minori a rischio. Ecco cosa ci ha raccontato della sua esperienza ultraventennale.
Cosa significa per Lei essere un clown?
Essere un clown e non fare il clown. Il clown è sì una tecnica ma, per me, è una condizione dello spirito, è un modo di guardare la realtà riservandosi sempre la possibilità di spostare il punto di osservazione, dando così la possibilità di scoprire l'inaspettato.
Il clown ha il suo habitat nel circo. Cosa accade quando viene trasportato in altri contesti?
Il clown nasce nel circo, anche se è presente, sotto altre forme, in tutta la storia del teatro. Nel circo ha trovato la sua collocazione naturale, lì è maturato, è cresciuto e ciascun interprete ha saputo trovare una strada originale che lo rendesse unico nell'eterno gioco tra "bianco" e "augusto". L'emigrazione, graduale del clown dal contesto circense al teatro e poi, di conseguenza, anche fuori dal teatro in contesti di "sofferenza" inizia negli anni '70. È importante sottolineare che, uscendo dal circo, il clown perde la connotazione iconografica tipica, ma non perde assolutamente lo spirito, la sua capacità di inciampare nella realtà, di mostrare i limiti dell'essere umano, di sorprendersi e stupirsi: capacità di apertura e di ascolto e relazione con l'altro.
Nell'ambito dell'istituzione carceraria la sua attività può aiutare i detenuti a guardare il mondo con occhi diversi?
Credo che questa capacità sia sotto gli occhi di tutti: il clown ti offre la chiave per poter aprire questa porta, per rendere più leggera e sopportabile la vita in un luogo di sofferenza come può essere un carcere, senza però perdere tutta la drammaticità della situazione.
Come nasce la compagnia Barrabàs clown e perché questo nome?
Il nome "Barabbàs" deriva dal fatto che in dialetto milanese i giovani delinquenti erano chiamati "barabitt" cioè piccoli Barabba, questo riferimento ci era piaciuto molto perché riusciva a mettere insieme due segni opposti e inaspettati : la vita ai margini della società quindi la sofferenza e il riso. La compagnia nasce al termine del mio servizio civile, come obiettore di coscienza, svolto dal 1977 al 1979 presso l'Istituto Salesiano di Arese che ospitava minori in difficoltà. L'incontro tra la figura del clown e questi giovani è stato sorprendente. L'"augusto" era ed è (l'esperienza continua tuttora) il loro eroe. Si identificano con questa figura di clown che è "out" fuori dalle regole, non accetta il potere, inciampa e si rialza, viene bastonato, deriso ma continua a mostrarci tutte le debolezze umane con candore, suscitando magari non la risata ma il sorriso.
Lei ha lavorato in alcuni istituti penitenziari. Come viene percepita l'attività di clownerie? Quali sono le difficoltà iniziale con cui deve scontrarsi?
Portare il clown dentro gli istituti di pena si scontra molto spesso con l'idea sbagliata e superficiale che il clown sia qualcosa adatto ai bambini, uno sciocco un pasticcione ma allo stesso tempo la bellezza sta nel fare scoprire che il clown è questo incredibile equilibrista del disequilibrio che può raccontare cose terribili con leggerezza, magari non suscitando il fragore di una risata ma il sussurro di un sorriso e una stretta allo stomaco.
Ha mai realizzato spettacoli in cui erano coinvolti detenuti?
Ho realizzato due spettacoli con i detenuti : il primo nel 1996 con i detenuti del carcere di S. Vittore, percorso che è durato sei mesi di incontri e allestimento dello spettacolo, l'altro nel 2011 con i detenuti del carcere di Opera dopo un mese di laboratorio sul clown. Mi viene spontaneo parlare dell'esperienza più lontana perché più lunga articolata e complessa. Entrato in carcere con un progetto sponsorizzato dalla Regione Lombardia e curato dall'Università Cattolica e dal Crt mi sono trovato subito immerso in una serie di richieste pressanti, da parte dei detenuti, sulla necessità di raccontare, attraverso lo spettacolo, tutta l'assurda e disumana vita carceraria che li schiacciava inesorabilmente. All'inizio sembrava loro assurdo che io fossi un clown e che intendevo lavorare con loro utilizzando il modo di pensare ed agire tipico di questo personaggio. Per i detenuti appariva talmente lontano questo linguaggio che non intravedevano possibilità alcuna di centrare il loro obiettivo. Per raccontare una tragedia è necessario mettere in scena la tragedia stessa con un linguaggio e con le tinte necessari classicamente ad esprimerla. Lentamente ma inesorabilmente sono rimasti colpiti ed hanno scoperto quanto può essere "tragico" un clown e quanta efficacia abbia la "leggerezza" che ferisce, denuncia ed urla. Così è nato Aria, spettacolo d'evasione dove raccontavamo una giornata tipo nel carcere e denunciavamo, facendo sorridere, il sovraffollamento, l'affettività negata, i tentativi di suicidio i rapporti umani distorti dall'assenza stessa dell'umanità. Alla fine dello spettacolo veniva lasciata in scena la copia manichino di ogni attore che se ne andava canticchiando tra il pubblico.
Nel 2007 ha ricevuto il premio Unicef come "Esperto qualificato nel recupero dei minori in difficoltà". Secondo Lei quanto può essere utile l'attività teatrale per le persone cosiddette "difficili" e, in particolare, per i detenuti?
Oltre alle particolarità del lavoro del clown che ho già sottolineato in precedenza, vale la pena di riflettere su altri elementi messi in atto da questa esperienza. Innanzitutto il clown porta ad una profonda conoscenza di sé, a "volerti bene" a conoscerti anche negli aspetti meno piacevoli della tua personalità, ad imparare la pazienza, l'apertura verso l'altro, l'ascolto, la collaborazione, impari a non dare nulla per scontato, tieni sveglia l'attenzione e l'immaginazione, perdi tempo e scopri la bellezza dell'essere inutile, cadi, inciampi ma sempre pronto a rialzarti per ricominciare. Inoltre, utilizzi linguaggi a volte dimenticati come quelli del corpo.