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di Rosario Di Raimondo

La Repubblica, 26 aprile 2024

Eppure c’è chi non si è voltato dall’altra parte. Chi ha provato a scalfire il muro di silenzio. Segnalando un viso rovinato dalle botte, chiedendo spiegazioni alla direzione del carcere, scrivendo una relazione di servizio vera - tra le tante false che mascheravano gli abusi contestati oggi dai pm - oppure svelando in procura le radici malate di quello che verrà poi definito un “sistema”. C’è chi ha visto e ha parlato delle botte ai giovani detenuti del Beccaria.

L’inchiesta ha avuto impulso dalla segnalazione di Francesco Maisto, garante dei detenuti del Comune di Milano, in contatto con l’ex consigliere comunale David Gentili, il quale a sua volta aveva ricevuto informazioni dall’istituto. Così le prime crepe si sono aperte, i primi cinque casi di violenza sono venuti a galla. Ne ha parlato, davanti ai pm, una psicologa del carcere. Riferendosi alle confidenze di un detenuto su un preciso episodio, ha confermato: “Mi raccontò di aver sentito rumori di pestaggi e urla (...) e che erano arrivati venti agenti. Gli agenti erano preoccupati di aver esagerato”. Di un’altra giovane vittima ha detto: “Aveva un problema di dipendenza, iperattività, ritardo. Mi ha raccontato che un pomeriggio chiedeva l’accendino per fumare. Conoscendolo, credo che tale insistenza fosse molesta”. Gli agenti “gli avrebbero acceso la sigaretta e lo avrebbero invitato a fumarla nel loro ufficio, dove poi lo avrebbero picchiato”. Giorni dopo, il ragazzo raccontò che anche un altro detenuto “venne picchiato. Lo aveva sentito dai rumori”. Le dichiarazioni della psicologa “si sono rivelate fondate”, si legge nell’ordinanza del gip.

Un’altra dottoressa ha raccontato le confidenze di un detenuto, aggredito da dieci agenti perché accusato di aver appiccato un incendio in cella. Da quelle parole era già nato un procedimento penale, che ora è uno dei capitoli dell’inchiesta sul Beccaria. E ancora una seconda psicologa “ha dichiarato di aver visto, nel corso di un colloquio, dei segni sul viso” di una vittima di pestaggi, “e di aver appreso che erano stati causati da due/tre agenti che lo avevano “sistemato”, cioè ammanettato e poi picchiato”, si legge nelle carte.

Il 27 dicembre 2022, invece, la mamma del detenuto A.C. si è accorta in videochiamata che il figlio aveva segni di botte sul viso, l’occhio nero, la guancia destra arrossata. Così ha inviato una mail all’ex direttrice del Beccaria (agli atti). La responsabile la rassicurava: sono state adottate le “procedure previste”. Quali? Sarà uno degli approfondimenti dei pm. “Questo qua se n’è sceso stamattina da quella marocchina di mer... della mediatrice”, è invece la triste espressione che uno degli arrestati usa al telefono parlando di un’operatrice del Beccaria che era andata dal direttore a dire che “picchiano i ragazzi”. “Sta mediatrice ha attivato tutta la situazione” e così sono state prese le immagini delle telecamere di sorveglianza, “immagini brutte”, confidava lo stesso agente, visto che erano volati tanti schiaffi e non solo verso un ragazzo che si “tagliava”.

Veniva invece definito un “coglionazzo” il poliziotto penitenziario che lo scorso marzo, con un collega, dopo aver sentito le urla provenire da un ufficio, aveva fatto irruzione bloccando così un altro pestaggio. Nella sua relazione di servizio, il poliziotto ha scritto: “Cercavamo di contenere e allontanare i colleghi per evitare ulteriori aggressioni da parte degli stessi nei confronti del detenuto”. Fumo negli occhi per i protagonisti del raid, che infatti le relazioni volevano aggiustarle per renderle più favorevoli.

E pur parlando di un “frangente doloroso”, ieri Antonio Sangermano, guida del dipartimento della giustizia minorile, ha detto che è stato fatto “tutto ciò che si doveva”, “collaborando” alle indagini della procuratrice aggiunta Letizia Mannella e delle pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena. Non è un caso se ha citato in particolare due persone: il nuovo direttore del Beccaria, Claudio Ferrari, già malvisto durante le indagini da alcuni agenti perché non si sentivano più coperti, e Manuela Federico, nuova comandante della polizia penitenziaria, da Sangermano definita “una persona valida, molto integra, che ha collaborato attivamente alle indagini”.