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di Monica Serra

La Stampa, 24 aprile 2024

“Oggi tutti i colleghi hanno mandato malattia nel pomeriggio, vogliono mandarla a oltranza. È una protesta verso il comandante nuovo e il direttore”. Una protesta a suon di certificati medici che, da quel che emerge, non era stata concordata col sindacato. A raccontarlo al segretario nazionale del Sappe Francesco Pennisi (non indagato) al telefono è uno degli agenti della Penitenziaria. Intercettato, gli spiega che “in passato quando accadevano episodi “spiacevoli” col comandante Ferone si lavorava bene”, “lui giustamente ci salvava” mentre “la nuova comandante non guarda in faccia nessuno”. È Pennisi a rispondere: “Ma questa è assegnata provvisoriamente? Adesso chiamo, faccio chiamare, gli dico di cacciarla via subito perché se no qua succede l’inferno”.

Sono i primi mesi del 2024 e al carcere minorile Cesare Beccaria gli agenti della Penitenziaria, ora accusati a vario titolo di maltrattamenti, lesioni, tortura, falso e un tentativo di violenza sessuale, iniziano ad agitarsi. Capiscono che “le telecamere parlano”, che il vento è cambiato. Che in carcere non hanno più “coperture”. Raccontano delle violenze, delle relazioni falsificate. E, intercettati, ammettono la brutalità delle azioni. “Cosa è successo in poche parole?” chiede il sindacalista, Mario Tossi (non indagato), a uno degli agenti che lo contatta dopo l’ennesima aggressione: “Che hanno preso il ragazzo da sopra e l’hanno scassato di mazzate”.

Una crudeltà inaudita che va avanti da tempo. Dal 2022, i fatti contestati dalla procura, ma gli episodi su cui si indaga sarebbero di più. Possibile che nessuno se ne sia accorto? “Il metodo di violenze ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali, con posizione di garanzia effettiva nei confronti dei detenuti” scrivono le pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena nella richiesta di misura che ha portato in carcere tredici agenti e alla sospensione dal servizio altri otto. “Fra questi” per l’accusa c’era il comandante Francesco Ferone. Ma c’è il dubbio che non sia stato l’unico. Per questo, dopo aver messo fine al “sistema” con il blitz di lunedì, gli inquirenti si stanno concentrando anche su un secondo livello di possibili omissioni e responsabilità.

E, anche per questo, gli investigatori hanno raggiunto a Roma la ex direttrice facente funzioni Maria Vittoria Menenti, che dirige l’Ipm Casal del Marmo, con un decreto di perquisizione “presso terzi”. Da quel che emerge, non è indagata ma i magistrati hanno ordinato di effettuare la copia forense del suo pc e del suo cellulare. “Lei come gli altri direttori facenti funzione nominati negli ultimi 18 anni non si sono occupati in via esclusiva del Beccaria ma lo hanno fatto mentre dirigevano anche altri istituti. È stata una precisa scelta ministeriale contro cui ci battiamo da anni” ricostruisce il garante dei detenuti Franco Maisto, che per primo nel marzo del 2023 ha denunciato, dando il via all’inchiesta. Sottolinea: “Così l’Ipm è diventato un’isola di illegalità al centro di Milano”. Aggiunge un ex brigadiere in pensione: “Che può fare un direttore assegnato a un minorile in due giorni alla settimana? Firma la pila di carte che si sono formate sulla sua scrivania, niente più”.

Così le torture e i pestaggi di gruppo nell’istituto sono diventati “normali” anche per le vittime, di 16, 17, 18 anni. Sono loro i primi, sentiti dai magistrati, a distinguere addirittura tra “schiaffi educativi” e aggressioni: “Dalla bocca perdevo sangue. Piangevo perché mi hanno dato tante botte. Quella notte non ho dormito: mi facevano male le costole, i denti, la testa. Mi hanno detto ritira la denuncia se no avrai problemi”. Ed erano sempre i ragazzi a cercare “rudimentali metodi di prevenzione” come “insaponare il pavimento e il corpo per far cadere gli agenti o sfuggire la presa” o “indossare molti strati abiti per attutire i colpi”. Lo ammettono davanti alla Squadra mobile diretta da Alfonso Iadevaia e al Nucleo investigativo della Penitenziaria, comandato da Mario Piramide.

Nel frattempo, il capo del Dipartimento per la giustizia minorile, Antonio Sangermano, ieri al Beccaria con i propri funzionari ha ascoltato vertici, personale e detenuti per stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano evidenziato la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”. Sempre ieri, cinque degli agenti arrestati hanno provato a difendersi davanti alla gip Stefania Donadeo. C’è chi ha parlato di “eventi critici” trattati come tali. E chi ha invece provato a giustificarsi: “Ero impreparato, non ce la facevo più, chiedevo di essere trasferito”. O, ancora: “Non avevamo guide o punti di riferimento: siamo stati abbandonati a noi stessi”.