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di Luigi Manconi

La Repubblica, 14 dicembre 2023

Il nostro connazionale Chico Forti detenuto in Florida dovrebbe poter finire di scontare la sua pena qui. Tra qualche giorno saranno trascorsi giusto tre anni da quando un ministro della Repubblica (Luigi Di Maio) annunciava che un nostro connazionale detenuto in Florida (Chico Forti) sarebbe ritornato presto in Italia. Da allora, da quel 22 dicembre del 2020, sono passati appunto 1086 giorni e Forti è tuttora recluso in una cella del Dade Correctional Institution di Florida City.

La sua storia è nota: Enrico “Chico” Forti è nato nel 1959 a Trento. Tra le tante attività della sua vita si trovano i successi sportivi nel windsurf e il lavoro come videomaker e produttore televisivo. Grazie alla partecipazione a un programma di Canale 5 condotto da Mike Bongiorno vince una somma di denaro sufficiente a garantirgli una nuova esistenza negli Stati Uniti. Lì si sposa e mette al mondo tre figli. Nel 1998 tutto precipita e Forti viene arrestato e accusato dell’omicidio dell’australiano Dale Pike. Le indagini e il processo presentano significative irregolarità e violazioni delle garanzie dell’imputato e si concludono con la condanna definitiva all’ergastolo.

Oggi importanti settori dell’opinione pubblica e dei media sollevano dubbi sulla reale colpevolezza di Forti. Ma l’ipotesi di un suo “ritorno in Italia”, presentato come una certezza dall’allora ministro Di Maio, si affida ad altro. Ovvero a quanto previsto dalla convenzione di Strasburgo del 1983, che consente a una persona condannata in uno Stato diverso da quello di appartenenza di scontare la pena nel proprio Paese.

La cosa solleva qualche perplessità negli Stati Uniti, dal momento che la pena alla quale è stato condannato Forti è una forma di ergastolo senza benefici, mentre in Italia - tranne che nei casi di ergastolo ostativo - il detenuto potrebbe accedere alla liberazione anticipata, oltre che a permessi premio. Tuttavia le iniziative assunte dai governi italiani e, in particolare, dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia avevano rivelato un atteggiamento non completamente ostile da parte del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Le resistenze maggiori sembravano provenire piuttosto dal governatore della Florida Ron DeSantis, interessato alla competizione per le primarie presidenziali tra i Repubblicani e preoccupato che un gesto di clemenza nei confronti di Forti potesse alienargli le simpatie degli elettori conservatori.

Questo ultimo elemento oggi dovrebbe pesare assai meno in quanto DeSantis non sembra poter concorrere con qualche chance alle primarie repubblicane, ma la situazione resta totalmente bloccata. E indecifrabile. Non si hanno risposte certe dagli Stati Uniti e anche un’azione di lobbying realizzata in quel paese da A Buon Diritto onlus non è stata in grado di ottenere informazioni certe e tantomeno garanzie su un esito positivo della vicenda. E il silenzio sembra ancora più vischioso in Italia.

Un anno fa la premier Giorgia Meloni telefonò a Gianni Forti, zio di Chico, per assicurare il suo interessamento, ma dopo dodici mesi tutto continua a tacere. E i tentativi fatti in parlamento e fuori per avere qualche informazione su un eventuale “dossier Forti” sono rimasti senza risposta.

Si avvicina il ventitreesimo Natale in carcere per questo nostro connazionale: non si chiede per lui alcun privilegio, bensì il semplice ricorso a un diritto previsto da una convenzione sottoscritta dagli Stati Uniti e dall’Italia. E la possibilità per Forti di scontare la pena nel paese di cui è cittadino. Ci sono, come si è detto, complicazioni di natura giuridica derivanti da un diverso regime detentivo previsto nell’uno e nell’altro paese, ma in passato questa difficoltà è stata superata. Si tratta di affrontarla ora con pazienza e tenacia, ma tenendo conto che il tempo di un uomo, detenuto da quasi un quarto di secolo, ha un senso, una scansione e un ritmo totalmente differenti - e infinitamente più gravosi - da quelli di chi si trovi in libertà.

Siamo di fronte all’ennesimo caso esemplare: battersi affinché Forti possa espiare la sua pena in Italia ha un valore che nasce innanzitutto dalla sua individuale esperienza umana e da una lunga detenzione già scontata. Ma ha anche un significato più ampio: l’idea, cioè, che la certezza della pena non comporti necessariamente la sua rigidità e fissità e che, allo stesso tempo, possa prevedere un atto di clemenza, ovvero la possibilità di “adattarsi” ai processi di cambiamento e trasformazione della persona. Ricordate la “rieducazione del condannato”?