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di Simona Musco

Il Dubbio, 21 settembre 2023

Processo all’accoglienza, sentenza attesa per l’11 ottobre. I legali: “Dal Tribunale errore macroscopico”. E lui scrive alla Corte d’appello: “Ho aiutato i più deboli”. “L’idea del carcere non mi spaventa. Quello che ho fatto interessa me personalmente per questo processo, ma ha un valore molto più grande: Riace ha trasmesso un messaggio al mondo, quello della speranza”. L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano sa di rischiare tanto: dopo la condanna in primo grado a 13 anni e due mesi per un sistema d’accoglienza prima lodato poi demonizzato, la procura generale di Reggio Calabria ha confermato di credere nella bontà dell’impianto accusatorio della procura di Locri, chiedendo una condanna a 10 anni e cinque mesi.

La vera posta in gioco è quella “utopia della normalità” immaginata in un luogo prima marginale, poi diventato all’improvviso centro del mondo, tanto da diventare modello. Un modello spazzato via da una politica migratoria che dà importanza più ai numeri che alle persone, trasformate in “pacchi” da spostare da un posto all’altro e pericoloso, proprio perché faceva a pezzi quel concetto di emergenza che serviva a giustificare politiche di repressione prive di risultati. Lucano ne parla al Dubbio nel giorno in cui i suoi avvocati - Giuliano Pisapia e Andrea Daqua - hanno concluso le arringhe, restituendo la palla alla Corte. Il suo destino si deciderà l’11 ottobre, quando i giudici si chiuderanno in camera di consiglio.

Ma intanto l’ex sindaco di Riace, condannato per truffa aggravata e associazione a delinquere e a processo assieme ad altre 17 persone, ha consegnato alla Corte una lettera accorata, per spiegare, ancora una volta, le sue ragioni. Ripercorre gli ultimi anni, dall’arresto per una “accusa infamante”, ovvero quella “di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro”, passando per la condanna e la nuova richiesta della procura generale.

E ribadendo la fiducia nei suoi avvocati, ha sottolineato di aver “vissuto anni di grande amarezza e di sfiducia nella giustizia, non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta sull’esperienza di ripopolamento del borgo vecchio di Riace aperto all’accoglienza dei migranti. Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori - ha sottolineato - ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture”.

Tant’è che non ha mai smesso, continuando a dedicarsi ai migranti nel “Villaggio globale di Riace”, la “missione della mia vita” che prescinde da incarichi pubblici e finanziamenti statali. “Altro che associazione a delinquere - ha concluso -. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio globale di Riace, sarete i benvenuti”. Ma è la difesa tecnica quella che ha messo in luce le contraddizioni della sentenza di primo grado. Una sentenza che forza la mano, soprattutto laddove il tribunale ha deciso di bypassare la sentenza Cavallo e dichiarare utilizzabili intercettazioni che, secondo le Sezioni Unite, andrebbero cestinate. Ma non solo, dal momento che il cuore della sentenza è rappresentato da una frase mai pronunciata. Il Tribunale, infatti, ha utilizzato una frase mai pronunciata per motivare la super condanna, una trascrizione fatta dalla polizia giudiziaria e smentita poi dal perito nominato dallo stesso Tribunale.

Una frase importante per l’accusa di peculato, la più grave. Lucano, ha affermato Pisapia, “in tutta la sua vita ha sempre fatto quello che serviva agli altri e non quello che serviva a se stesso”. Tant’è che l’ex primo cittadino ha anche rifiutato la candidatura alle elezioni nazionali e alle europee, cosa che smentisce l’assunto dell’accusa: il tentativo di ottenere un tornaconto politico, che avrebbe sfruttato solo per fare il sindaco di un paesino di poche anime nel sud del sud. “Manca il dolo e manca la consapevolezza e la volontà di un vantaggio economico. Risulta dalla lettura di tutti gli atti processuali che Lucano non aveva un soldo sul proprio conto corrente”, ha evidenziato l’ex sindaco di Milano.

Che ha citato Giovanni Falcone, il cui “consiglio” era quello di “seguire i soldi”: nel caso di Lucano, come ammesso anche dai giudici, non ci sono. “La vostra sentenza sarà importante - ha aggiunto Pisapia - perché specialmente in questo periodo in cui la situazione dei migranti è particolarmente difficile e complicata, avere tante Riace aiuterebbe a risolvere tanti problemi”. Per Daqua ci sarebbe “il legittimo sospetto che il processo contro Lucano sia stato viziato sin dall’inizio - ha aggiunto.

Il Tribunale di Locri si lascia andare in un linguaggio denigratorio nei confronti di Lucano, commette il gravissimo errore di perdere la sua terzietà, si appiattisce in maniera quasi servile a questo preconfezionato costrutto accusatorio, finisce per smentire se stesso - ha sottolineato, con riferimento all’intercettazione che di fatto sconfessa lo stesso Tribunale -, ignora la corposa documentazione che noi abbiamo prodotto e le minuziose consulenze di parte. È una sentenza ingiusta ed errata per tutti i capi di imputazione. Voi avete la possibilità di correggere un macroscopico errore”.