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di Francesco Grignetti

La Stampa, 10 novembre 2022

L’ex ministro dell’Interno: “Per una vera strategia bisogna investire nel Nord Africa. Putin ha cambiato tutto, ora nel Mediterraneo molti Paesi sono agganciabili all’Occidente”. A parlare di Mediterraneo instabile, flussi migratori, energia, e terrorismo islamista con Marco Minniti si scivola subito nella lezione universitaria. L’ex ministro dell’Interno è il presidente della fondazione Med-Or, un think tank della società Leonardo per i rapporti internazionali tra l’Italia e appunto i Paesi del Sahel, Corno d’Africa,e Oriente.

La visita di Giorgia Meloni in Egitto non lo ha meravigliato, anche perché sono diversi anni che è in corso il riavvicinamento. “Il dialogo con il Cairo - dice Minniti - non è negativo in sé, ma è anche il banco di prova di che cosa sia una diplomazia esigente”. Esigente nel senso che l’Italia non può e non deve dimenticare nemmeno per un attimo la tragedia di Giulio Regeni. “Perché si può riconoscere a quel Paese un ruolo geopolitico, ma l’Egitto a sua volta deve riconoscere che ci deve una risposta. È un fatto di dignità nazionale”.

Mentre parliamo di Mediterraneo, sta esplodendo il caso della “Ocean Viking”, che a dispetto di quanto emergeva martedì, non sarà accolta dalla Francia...

“Sinceramente non mi sorprende. È la dimostrazione che in questa fase, puntare tutto sulla ridistribuzione di migranti in Europa è una strada particolarmente scivolosa. Può anzi aumentare il livello di conflittualità tra i paesi europei. Occorre altro. Occorre una strategia. Ma allora dobbiamo alzare lo sguardo e parlare innanzitutto di Ucraina”.

E che c’entra l’Ucraina?

“Guardi, con l’invasione russa, è cambiato tutto. Dall’Ucraina, come fossero scosse telluriche, si dipanano tre crisi globali: energetica, umanitaria, ed alimentare. Paradossalmente tutte e tre queste crisi si giocano nel Mediterraneo. Per l’energia, basti pensare al ruolo che ha assunto l’Algeria o anche, in prospettiva, quello che può avere l’Egitto, per non parlare della Libia. Per quella umanitaria, dobbiamo sempre ricordare che in Europa ci sono al momento 10 milioni di profughi fuggiti dall’Ucraina; di questi, 4,5 milioni sono in Polonia e 1,5 in Ungheria. L’Europa ha retto, ma non era scontato. Per la crisi alimentare, per fortuna ci sono i corridoi del grano, ma nei Paesi del Nord Africa è un equilibrio instabile. Il paradosso è che Putin sta perdendo sul piano militare e ora ricorre all’arma politica. Un’instabilità del Mediterraneo, creando problemi di approvvigionamento all’Europa, o spingendo masse all’emigrazione, è la sua arma contro l’Occidente. Sta scommettendo sulla nostra tenuta”.

E quindi?

“È evidente, anche alla luce di quello che sta accadendo con la Francia, che non possiamo dare le chiavi delle nostre democrazie ai trafficanti di esseri umani. Perché sarebbe da irresponsabili non vedere i contraccolpi nelle opinioni pubbliche e come riprende fiato la propaganda populista nei nostri Paesi. Occorre superare la Bossi-Fini e prevedere flussi consistenti di migrazione legale, gestiti dalle reti consolari. In cambio i Paesi di origine dovrebbero impegnarsi a riprendere immediatamente i loro migranti illegali. Uno scambio in cui vinciamo tutti, anche noi europei che siamo in piena recessione demografica”.

Invece è ripartita la guerra alle Ong...

“Mi piace qui ricordare lo stratega cinese Sun Tzu: “Una strategia senza tattica è la via più lenta per la vittoria, ma una tattica senza strategia è il rumore di fondo della sconfitta”. Oltre a governare i flussi di migranti, dobbiamo elaborare una strategia di sviluppo per l’Africa. Se abbiamo trasferito 6 miliardi alla Turchia, dobbiamo pensare ad almeno 3 miliardi per una prima annualità di aiuto all’Africa del Nord. Aiuto finalizzato alla crescita economica, alla stabilità, alla prosperità. Vede, in questi giorni la Tunisia sta negoziando un oneroso prestito con il Fondo monetario internazionale. L’Egitto lo ha appena concluso. Immaginate quale ruolo potrebbe avere un’Europa che arriva da protagonista con un corposo assegno in mano. La questione ha anche un aspetto diplomatico importante: nel Mediterraneo c’è un cospicuo numero dei cosiddetti Paesi “indifferenti” alla guerra in Ucraina. Sarebbe bene agganciarli all’Occidente. L’Italia può riuscirci, ma deve aprire una sua offensiva diplomatica per portare sul serio l’Ue nel Mediterraneo. La verità è che l’interesse nazionale si difende soprattutto all’estero. È lì che si vince o si perde la sfida. Uno che l’ha capito è Putin. Pochi hanno notato che mentre era costretto alla mobilitazione generale, con quel che ha comportato, non ha mica smobilitato i contractor della Wagner dalla Libia, dal Mali o dal Centrafrica. Si vede che gli sono più utili là dove stanno”.

E l’Egitto?

“Può essere un partner cruciale. Ha un importante ruolo in Libia. Ha i giacimenti di gas. Fronteggia il terrorismo islamista. Il dialogo, specie dopo l’invasione dell’Ucraina, non è negativo in sé. Ma quella ferita nazionale che è la barbara tortura e assassinio di Giulio Regeni va sanata. Ricordo che una relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta è stata votata all’unanimità. E che c’è una ricostruzione accusatoria portata a processo. L’Egitto deve sapere che per noi celebrare il dibattimento è una questione di dignità nazionale. L’esigenza di verità e giustizia non la dimenticheremo mai”.