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di Fabrizio Costarella* e Cosimo Palumbo**

Il Dubbio, 25 luglio 2023

Le sanzioni dettate da indizi hanno già sostituito il giudizio penale e il suo corredo di garanzie, ora col “Sistema Giove” la polizia potrà colpire le persone in base a etnia o gusti sessuali. Più volte, su queste pagine, abbiamo espresso preoccupazione non tanto per il vertiginoso aumento dei procedimenti di prevenzione, quanto soprattutto per il rapido processo di sostituzione del processo penale con l’azione “preventiva”. Uno strumento di “punizione” non necessariamente ancillare rispetto all’accertamento di una responsabilità (una sanzione senza condanna) consente di aggirare l’intero sistema delle garanzie che in decenni di sedimentazione hanno costituito il sostrato del giusto processo accusatorio, dando mano libera a chi sponsorizza una giustizia senza orpelli, senza fronzoli, secondo il mantra della “certezza”.

La certezza della pena, soprattutto, intesa, grazie agli “analfabeti funzionali del diritto” e mutando ontologia, come statistica sicurezza di ricevere una sanzione, all’esito di un trial nel quale domina, invece, “l’incertezza del diritto”, sempre più governato da addizioni (o sottrazioni) giurisprudenziali, all’interno di un sistema nel quale la divisione dei poteri, specie tra quello legislativo e giudiziario, è sempre più indefinita.

La prevenzione, che ha dunque l’attitudine di trattare come colpevole chi colpevole non è mai stato - e, magari, mai poteva essere - dichiarato, si presta e si candida a sostituire il processo penale per la sua performabilità: è rapida; è caratterizzata da una prova contratta, spesso invertita e quasi mai formata in contraddittorio; è sostanzialmente svincolata, tranne poche ipotesi, dal giudicato penale; è dotata di un giudicato instabile, che può essere rivisto in senso migliorativo, ma anche peggiorativo per il cittadino; non conosce la prescrizione.

Una tale duttilità lo ha reso, prima, un irrinunciabile strumento di recupero dell’azione penale non conclusa o conclusa in senso assolutorio; in seguito ed in prospettiva futura, la naturale alternativa al procedimento penale. Che quello appena ipotizzato possa essere il futuro della prevenzione non è solo nella pletorizzazione dei provvedimenti, ma anche nei “segni”. Le recenti riforme legislative, ad esempio, hanno positivizzato la traslatio iudicii dal processo penale a quello di prevenzione, ma non sono intervenute sul modello procedimentale di quest’ultimo, che resta governato da regole eccentriche rispetto al primo, specie sul versante della valutazione probatoria.

Non solo perché, ad esempio, il concetto stesso di “indizio di prevenzione” sia, per dirla con Churchill, un enigma avvolto in un mistero dentro un enigma, lasciando al “prudente apprezzamento” ed “al libero convincimento” del giudice uno spazio deliberativo ai limiti dell’arbitrio, ma anche perché, e questo è forse il distacco più qualificante, specie a certe latitudini, tra i due procedimenti, la chiamata in correità, nel procedimento di prevenzione, non necessita di riscontri esterni individualizzanti.

Una eccezione tanto pericolosa per il cittadino, quanto provvidenziale per l’Accusa, se si pensa a quanti processi penali naufragano sugli scogli di collaboratori male accrocchiati e non convergenti tra loro. Basta l’accusa del mitomane di turno (di quanti Pandico si ricorderà la storia?) per essere sottoposti ad una misura di prevenzione. E, tra i “segni” delle prossime evoluzioni della prevenzione, c’è anche il varo del “sistema Giove” da parte della Polizia di Stato.

Si tratta di un software di polizia predittiva (che a molti ha ricordato il romanzo Minority Report di Philip Dick), basato su un algoritmo in grado di incrociare i dati di tutte le forze dell’ordine, per “prevenire e reprimere i reati di maggior impatto sociale”, mediante l’osservazione di fattori critici ricorsivi.

Ma anche con l’applicazione di algoritmi legati alla etnia, all’orientamento sessuale, al credo religioso, alle condizioni economiche ed altre caratteristiche individuali che, da un lato, sono tutelati dalle disposizioni legali e convenzionali in tema di diritto alla privacy e, dall’altro, hanno una impostazione dipendente dal pregiudizio che ciascuna delle dedotte condizioni reca in sé e che non pare essere un criterio affidabile sul quale poter prevedere le future azioni delle persone, magari da sottoporre ad arresto preventivo.

Dopo le misure ordinarie e quelle cautelari di prevenzione, il catalogo della giustizia preventiva si arricchisce anche delle misure pre- cautelari di prevenzione, così attrezzandosi a soppiantare il sistema penale anche nell’ambito degli strumenti di polizia. Si può allora fondatamente immaginare un futuro distopico, nel quale squadre specializzate di polizia predittiva potranno privare della libertà personale i soggetti ritenuti pericolosi sulla base di “pregiudizi algoritmici”? La recente Legge francese che consente alle forze di polizie di accedere, da remoto e senza autorizzazione del Giudice, alle memorie degli smartphone dei cittadini autorizza una risposta positiva. Per dirla con Philip Dick: “Non siamo liberi, non lo siamo mai stati. Ma ora ne siamo coscienti”.

*Avvocato del Foro di Catanzaro

**Avvocato del Foro di Torino