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di Federica Olivo

huffingtonpost.it, 8 febbraio 2024

In un’audizione sui suicidi in cella, il capo del Dap, Giovanni Russo, annuncia il piano: “Non daremo soldi, ma know how”. Ipotesi di creare spostare dal carcere a (nuove) comunità i detenuti con fine pena breve. Un’audizione che doveva essere incentrata sui suicidi in carcere, si è trasformata in una serie di annunci che potrebbero stravolgere il sistema penitenziario italiano. Parla poco Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma quando parla non si limita alle parole di circostanza. E allora eccolo, dopo essersi rammaricato per l’aumento delle persone che si sono tolte la vita in prigione nel 2024 - “una tendenza per noi inspiegabile” - annunciare, in commissione giustizia, alla Camera un paio di novità sorprendenti.

La prima sembra una replica in chiave penitenziaria dell’accordo Meloni-Rama sui migranti. Con due differenze: ad andare a scontare la pena in Albania sarebbero gli autori di reato albanesi che sono detenuti nelle nostre carceri, perché hanno compiuto qualche illecito penale sul suolo italiano. Si tratta, dice Russo, “di poche centinaia di persone”. In realtà, stando ai dati del ministero della Giustizia aggiornati al 31 gennaio 2024, i detenuti albanesi in Italia sono 1977.

Cosa daremo in cambio all’Albania - dove le carceri esplodono più che in Italia - per riprendersi i concittadini che hanno compiuto reati in Italia? Non soldi, come fa il Regno Unito, ma conoscenze. O meglio, per usare le parole di Russo, “servizi di tipo penitenziario” e formazione per i detenuti medesimi. Affinché, argomenta in sostanza il capo del Dap, “decidano di rimanere nel loro Paese”. L’Italia, dunque - sempre che l’Albania accetti altri beni al posto dei soldi - potrebbe fornire aiuti di vario genere. Certamente non risorse umane, dal momento che la polizia penitenziaria ha un deficit in organico pari a 18mila unità.

L’intesa è in fase di scrittura: Russo ha già incontrato il suo omologo albanese e i lavori sono in corso. Il piano farà molto discutere e aiuterà poco a ridurre il sovraffollamento delle carceri, ma si colloca nel solco del grande rapporto instaurato tra la premier italiana e il suo omologo albanese, Edi Rama.

Ma c’è un’altra novità. Al momento è un’idea, ma se diventasse realtà potrebbe giovare sia alla funzione rieducativa della pena che allo svuotamento delle carceri: si tratta della nascita di strutture diverse dalle prigioni, dedicate a chi ha un fine pena basso. A chi, cioè, deve rimanere in carcere per poco tempo. La platea è ben più ampia di quella che sarebbe destinata all’Albania: “I detenuti con una pena inferiore a un anno sono tra i sette e gli ottomila”, ci spiega Riccardo Magi, segretario di +Europa, nonché autore di una proposta di legge per istituire queste strutture.

Ma cosa hanno in mente, esattamente, al Dap? Russo spiega che nei suoi uffici stanno iniziando a “immaginare di costruire un luogo intermedio tra la detenzione e la riconquista delle libertà, sulla falsariga delle comunità per i tossicodipendenti”. Queste strutture, aggiunge, sarebbero “comunità di accoglienza educative validate dalle Regioni, dove sulla base di una lista nazionale il magistrato di sorveglianza possa attingere e inviare il detenuto a fine pena che abbia quelle condizioni soggettive di non recidiva e non pericolosità. Condizioni tali da potergli consentire di passare gli ultimi mesi nell’avvio della conquista della libertà, previo inizio di una formazione in carcere”.

Sarebbe una svolta vera - se davvero volessero metterla in atto - perché ridurrebbe in maniera significativa il sovraffollamento. E contribuirebbe a dare un futuro a chi sta per essere reimmesso nella società. Vale la pena aggiungere che spesso i suicidi si registrano proprio tra chi è prossimo alla liberazione. Una ‘terra di mezzo’ tra la reclusione e la libertà potrebbe essere d’aiuto a queste persone e a tutta la società. Intanto, come segnalato dallo stesso Russo, la quota di persone detenute ha superato la soglia di 60mila, a fronte di una capienza di più di 10mila posti in meno. Numeri non tanto dissimili da questi hanno portato a una condanna da parte della Cedu. L’auspicio è che il governo agisca prima di una nuova sanzione.