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di Valentina Reggiani

La Nazione, 30 giugno 2023

Nelle indagini sull’8 marzo 2020, spiega la magistratura, i presunti pestaggi non hanno trovato riscontri. I “denunciati” pestaggi per mano degli agenti della Polizia penitenziaria non hanno trovato “adeguato riscontro”, nella documentazione sanitaria acquisita dai pm, e comunque tutte le prove acquisite impediscono di formulare “una ragionevole previsione di condanna degli indagati”, per i nove detenuti morti dopo la rivolta dentro al carcere dell’8 marzo 2020.

Lo scrive il procuratore capo di Modena, Luca Masini, a proposito della “complessa ed articolata indagine”, di un paio d’anni, sulla rivolta in questione e sul suo tragico epilogo, che ha portato a iscrivere nel registro degli indagati per tortura e lesioni fino a 120 persone, tutti agenti penitenziari. La richiesta di archiviazione è stata registrata il 23 giugno, dopo che l’8 giugno, fra l’altro, era emerso che erano saliti a 14, da cinque, i poliziotti della penitenziaria indagati, dopo una proroga delle indagini.

Se il fascicolo sui decessi è già stato archiviato, seguendo la pista del suicidio per overdose di metadone dei detenuti, nonostante la battaglia del Comitato Verità e Giustizia per i morti del Sant’Anna di Modena, costituitosi subito dopo i fatti dell’8 marzo 2020. Nel procedimento principale sono confluiti poi altri tre fascicoli, tutti innescati dai nove esposti firmati dagli stessi detenuti, con interrogatori di vari indagati e la consultazione di un album fotografico sull’8 marzo di tre anni fa.

La Procura precisa che sono stati sentiti anche coloro che a vario titolo, sui media, avevano assicurato di avere informazioni puntuali sulla repressione della rivolta, anche se in certi casi non è stato possibile perché i diretti interessati non hanno voluto svelare le proprie generalità.

E nemmeno sono stati acquisiti documenti video, perché “non disponibili”. In sostanza, la Procura si dice non in grado di formulare un giudizio di attendibilità sulla ricostruzione dei fatti offerta da parte delle persone offese e quindi, ancora meno, non ci sono previsioni ragionevoli di eventuale condanna degli indagati. Sulle “ripetute percosse” ai detenuti per mano degli agenti penitenziari, sostenute a loro volta dai ricorrenti, sarebbero emerse anche “dichiarazioni discordanti” sui luoghi e sul modo in cui sarebbero stati picchiati.