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di Fabio Postiglione

Corriere della Sera, 7 marzo 2023

Il teatro può salvare il mondo. Anzi, i mondi. Le vite. Quelle dei detenuti che studiano da attori e recitano come professionisti davanti a un pubblico pagante. Scontano la pena e sognano la libertà. Studiano, leggono, rispettano regole e orari, si incontrano cinque volte a settimana e proiettano la loro anima al di là delle sbarre. “Il nostro non è un approccio educativo, nemmeno conosciamo i reati che hanno commesso, ma puramente artistico”.

Stefano Tè, napoletano di San Giorgio Cremano, Premio Ubu 2019 per l’allestimento scenico di “Moby Dick”, è fondatore e registra della compagnia Teatro dei Venti, dal 2006 impegnata in progetti sociali e percorsi creativi nei penitenziari, e che quest’anno con i detenuti del carcere Sant’Anna di Modena ha già messo in scena “Giulio Cesare”, e con quelli di Castelfranco Emilia, a maggio, produrrà l’Amleto. “Abbiamo ricevuto un invito a novembre al Teatro delle Passioni di Modena - racconta Tè. Un invito in un luogo importante, con i detenuti che potrebbero lasciare il carcere per diverse repliche, ci stiamo lavorando”. Lo hanno già fatto, ed è stato un successo. Con “Antigone”, dove i protagonisti erano ancora una volta i detenuti del carcere Sant’Anna, e soprattutto con l’”Odissea”, progetto nato a cavallo della pandemia, trasformatosi e adattatosi strada facendo, come il protagonista dell’opera. “Una forma complessa - ricorda Tè -. Un pullman che accoglieva il pubblico e che attraversava le due Carceri di Modena e Castelfranco Emilia. Il viaggio, la loro personale Odissea, che gli attori detenuti affrontavano e portavano al pubblico. Un narratore portava al pubblico in versi e parole quello che accadeva o che era accaduto”. Parole e immagini che si rincorrevano tra loro. “Ho un grande interesse per testi che hanno al centro l’umano, le fragilità, le ossessioni, il conflitto, la bramosia di potere - spiega il regista -. E in particolare le opere di Shakespeare ritengo che siano molto adatte al mondo del carcere”.

Il sostegno “tecnologico” dei cittadini - Quello del Teatro dei Venti nelle Carceri è un vero e proprio presidio culturale, con una presenza costante nel corso dell’anno, a parte una pausa estiva. Questo radicamento ha consentito di proseguire le attività anche durante il lockdown, quando, dopo un periodo di sospensione, sono state attivate le prove da remoto in entrambi gli Istituti. Le attività sono state rese possibili dalle donazioni di computer e materiale informatico effettuate da diversi cittadini, che hanno risposto a un appello del Teatro dei Venti. I detenuti attori che frequentano i percorsi del Teatro dei Venti, compatibilmente con le disposizioni del magistrato di Sorveglianza e della Direzione, sono assunti e percepiscono una retribuzione per le prove e le repliche. E questo è il presente. Ma poi c’è il futuro. Non tutti i detenuti che partecipano ai corsi partecipano alla produzione ma “con l’Europa siamo in ballo con un progetto ambizioso che potrebbe accogliere nel mondo lavorativo anche figure professionali diverse”. E così dal buio delle carceri potrebbero nascere tecnici audio, del suono, scenografi. E iniziare una nuova vita. Da zero. Recitando da protagonisti la loro stessa vita.