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di Daria Bignardi

vanityfair.it, 4 luglio 2023

La Procura di Modena ha chiesto l’archiviazione per la seconda inchiesta sulla rivolta nel carcere di Sant’Anna durante il lockdown che causò nove morti. Ma l’avvocato della famiglia di due delle vittime ha detto che si opporrà. In tutte le galere si sta male, ma in certe si sta peggio. E quando in un carcere stanno male i carcerati stanno male anche le guardie”, mi ha detto una volta Pino, uno che ne ha girate parecchie.

Nel carcere Sant’Anna di Modena si doveva stare molto male, l’8 marzo del 2020. Fu una giornata difficile per tutti: il primo decreto sul lockdown è del giorno dopo, il clima ce lo ricordiamo. Nelle prigioni fu una giornata folle: molta paura, nessuna informazione, disperazione per i colloqui e i pacchi vietati e i primi contagi.

La sensazione era quella dei topi in trappola. Non erano topi, si ribellarono un po’ dovunque. Ma a Modena ci fu una strage: dei 13 morti per le rivolte di quella domenica, nove erano detenuti lì, quattro sono deceduti subito, cinque durante o dopo il trasferimento in altre carceri. Tutti stranieri tranne uno, erano dentro per piccole condanne: sarebbero usciti presto.

Alcuni avrebbero già potuto stare agli arresti domiciliari, ma un domicilio non ce l’avevano, il loro domicilio era il carcere. Così le loro brevi pene si sono mutate in ergastoli, “carceri a vita”, come si dice per dire “carceri a morte”.

Significa questo: che le galere sono discariche per l’umanità più povera, malata e disgraziata che ci sia. Due anni fa è stata archiviata la prima inchiesta sui decessi, attribuiti a overdosi di metadone espugnato nel parapiglia. Della seconda, a carico di 120 poliziotti penitenziari, basata su denunce di detenuti che hanno - piuttosto coraggiosamente - raccontato di violenze durante gli sfollamenti, è stata chiesta giovedì scorso l’archiviazione da parte della Procura di Modena.

L’ho saputo da un post di Alice Miglioli del Comitato Verità e Giustizia per i morti di Modena: “Siamo distrutti, non ce lo aspettavamo”. I quotidiani nazionali hanno relegato la cosa alle cronache locali. Luca Sebastiani - che nel processo archiviato, per il quale ha scritto un ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’uomo insieme al professor Valerio Onida, è l’avvocato della famiglia di due dei ragazzi morti, e nell’ultimo procedimento assiste due detenuti che hanno denunciato torture - ha annunciato che si opporrà alla richiesta di archiviazione.