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di Valentina Reggiani

Il Resto del Carlino, 9 novembre 2023

Roma era chiamata a rispondere ai quesiti posti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo che aveva ritenuto ammissibile il ricorso presentato dai familiari delle vittime al Sant’Anna. Nessuna negligenza: non si poteva fare di più in una situazione emergenziale come quella. Il detenuto, inoltre, partecipò alla rivolta e assunse volontariamente il metadone. In quelle ore in cui nel penitenziario vigeva il caos che la stessa rivolta aveva generato, risultava poi impossibile accorgersi di chi accusava malori e soccorrerli nell’immediatezza.

È a queste conclusioni che il Governo è arrivato in merito alla nota strage nel Carcere Sant’Anna dell’8 marzo 2020. Il Governo, infatti, era chiamato a rispondere ai quesiti posti dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo circa le presunte doglianze relative a diversi articoli della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La Corte aveva infatti ritenuto ammissibile il ricorso presentato dai familiari, ovvero il padre ed il fratello di uno dei nove detenuti deceduti durante la maxi rivolta nel carcere Sant’Anna, il tunisino Hafed Chouchane.

I parenti della vittima si erano rivolti agli avvocati Barbara Randazzo, del foro di Milano e Luca Sebastiani, membro dell’osservatorio carcere della camera Penale di Bologna che, nel ricorso presentato alla Corte Europea avevano fatto presente come il giorno della rivolta mancò la protezione dei soggetti fragili da parte dello Stato.

‘Soggetti’, ovvero i detenuti che proprio dallo Stato avrebbero dovuto essere salvaguardati. Non solo: secondo gli avvocati non furono assunti rimedi interni e non fu data efficiente comunicazione ai carcerati circa la pandemia in atto. A seguito delle osservazioni depositate dal Governo i legali presenteranno le relative repliche entro il 18 dicembre. Sarà quindi la Corte a stabilire se vi siano state o meno ‘carenze’ e violazioni nel corso della sommossa, relative anche alla mancata tempestività delle cure ai detenuti.

Per l’avvocatura dello Stato, in ogni caso, quel giorno non vi furono negligenze ed omissioni. Nel frattempo sul carcere modenese è partita un’altra inchiesta: questa volta, però, l’indagine - per la quale è stata chiesta l’archiviazione da parte della procura - riguarda lo stesso comandante della polizia penitenziaria. Lo stesso, infatti, risulta indagato per abuso d’ufficio e rivelazione e utilizzo di segreti di ufficio a seguito della denuncia presentata da due donne, agenti della penitenziaria a seguito di presunte ‘battute’ a loro carico.

Battute che le presunte vittime avrebbero reputato ‘spinte’, denunciando anche presunte avances da parte del comandante. L’indagato, difeso dall’avvocato Paolo Petrella, ha sempre respinto con forza ogni addebito. I fatti contestati risalirebbero al 2021 ma una di quei commenti ‘pesanti’ sarebbe stato fatto nei confronti di una delle due poliziotte proprio il giorno della rivolta. Secondo la procura, però, non vi sarebbero i presupposti per procedere nei confronti del comandante. Ieri i legali delle due donne hanno presentato opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura e il giudice si è riservato nel merito.