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primamonza.it, 13 giugno 2023

Monza cambia direttrice del carcere e si preannuncia una rivoluzione. “Il carcere? Dovrebbe ospitare molti meno detenuti. Non solo per una questione di capienza. Ma anche perché le misure alternative, così come i progetti di avviamento al lavoro, riducono il rischio di recidiva”.

Cinquantaquattro anni, sposata con due figli, la nuova direttrice della casa circondariale di Monza Cosima Buccoliero, ha preso possesso del suo nuovo ufficio il 2 maggio, prendendo il testimone da Maria Pitaniello che ha assunto ora la direzione dell’istituto di Busto Arsizio. Non nasconde di avere una visione del carcere ben lontana da quella che tutti si immaginano. Ma attenzione a definirla “alternativa”, “è la legge che ci impone di lavorare per rieducare e per far sì che i detenuti possano uscire con percorsi di accompagnamento”.

Una lunga carriera - Una lunga carriera cominciata a Cagliari, dopo la laurea in Giurisprudenza, e che l’ha vista alla guida di istituti quali il carcere di Bollate, quello di Opera e il Beccaria. Ma che l’ha vista anche capolista del Pd a Milano alle scorse Regionali - voluta dallo stesso Majorino - (“un’esperienza breve, ma intensa”), nonché autrice di un libro edito Einaudi, dal titolo Senza sbarre, nel quale descrive un modello di carcere diverso (e attuato a Bollate), virtuoso, con stanze di detenzione aperte di giorno, nel quale la premessa è quella secondo cui “la pena detentiva deve mirare al reinserimento, non ridursi alla sola punizione”.

L'arrivo a Monza - Il suo arrivo a Monza è frutto di una scelta ben precisa. “È una città che mi ha interessato molto per la grande sensibilità nei confronti della realtà carceraria da parte della comunità - ha esordito la direttrice Buccoliero - Ed è questo che mi ha spinto a mettermi in gioco. Al mio arrivo ho trovato un istituto in buone condizioni, anche se ovviamente le sfide non mancano”.

Le preoccupazioni per il “dopo” - A partire, precisa, dal problema del sovraffollamento, che affligge praticamente tutti gli istituti di pena italiani. Ma non solo. “Al Sanquirico c’è un alto numero di detenuti con problemi di tossicodipendenza, persone che non dovrebbero stare in carcere, bensì in luoghi alternativi, più adatti, rispetto a un istituto penitenziario, a rispondere alle esigenze di cui necessitano - ha spiegato la direttrice - Innumerevoli sono anche le persone straniere per le quali è purtroppo statisticamente più difficile inserirsi nella società, una volta finito di scontare la pena. In tal senso, la nostra preoccupazione è per il “dopo”, quando, una volta finito di scontare la pena, il percorso che si troveranno ad affrontare non sarà certo semplice”.

Le opportunità in carcere - Se il carcere offre infatti agli ospiti percorsi lavorativi o di formazione, è il ritorno alla cosiddetta normalità che spesso è carente di un adeguato sostegno. “La casa circondariale di Sanquirico è un istituto che può contare su ampi spazi dedicati alle attività, come è anche la biblioteca. C’è anche il servizio di lettura alta voce nelle sezioni. I detenuti sembrano interessati a mettersi in gioco e a cogliere le opportunità. La speranza è che poi questo bagaglio che si costruiscono all’interno, non venga meno una volta fuori”.

A tal proposito, col sindaco Paolo Pilotto, “ho affrontato il tema del rilancio di alcuni progetti, come quello dell’housing sociale, e del lavoro che è la vera chiave di volta, insieme al mantenimento del legame famigliare, per il reinserimento in società una volta finito di scontare la pena detentiva”.

Pene alternative e lavoro - Il punto, ha precisato Buccoliero, “è che bisogna investire di più sulle risorse esterne, sia in chiave di prevenzione che di reinserimento. Non si può pensare che il carcere si sostituisca alla scuola, alle politiche sociali e ad altro ancora. Il carcere fa quello che può con le risorse che ha a disposizione. Una volta fuori, gli ex detenuti vengono spesso lasciati a loro stessi. Se, durante il periodo di detenzione sono previste innumerevoli opportunità, queste spesso terminano con la fine del periodo detentivo. Spesso si ritrovano soli, senza un’occupazione. E il rischio di reiterazione è alto. Anche perché capita che poi non abbiano più una rete famigliare che li sostiene”.

“Il lavoro è fondamentale” - Le misure alternative, ma anche i progetti di avviamento al lavoro, costituiscono un deterrente alla reiterazione. “I numeri dicono che, solitamente, la recidiva si attesta sul 70 per cento - ha osservato Buccoliero - Percentuale che si abbassa drasticamente laddove invece vengono attivate misure alternative. O laddove vi siano importanti progetti di formazione e di avviamento al lavoro, come ad esempio a Bollate, dove la recidiva si è abbassata drasticamente, arrivando al 20 per cento circa. Se avessimo la possibilità di garantire un percorso professionale fuori dal carcere a tutti, avremmo rischi di reiterazione decisamente più bassi”.

“Il carcere non è adatto ai minori” - Intensa, spiega ancora, la sua esperienza al carcere minorile Beccaria. “E’ necessario avviare una profonda riflessione sulla funzione dei carceri minorili che, così come sono stati concepiti, non fanno che aggravare la situazione. Il carcere non è il luogo adatto a un minore”.

Il sistema della giustizia minorile, precisa, “funziona, ma bisogna anche fare i conti con una nuova utenza costituita in gran parte da giovanissimi stranieri che arrivano in Italia non accompagnati, che non conoscono la lingua e che hanno ben poche possibilità di radicarsi. A ciò si aggiunge la sempre minore presenza di comunità educative che accolgono con maggiore difficoltà i ragazzi che entrano nel circuito penale”.