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di Federico Berni

Corriere della Sera, 10 febbraio 2024

“La mia vita è stata distrutta, ora vivo in una cantina”. L’uomo era il guardiano dell’azienda dove nel 2010 ci fu uno sversamento di idrocarburi nel Lambro. L’onda nera raggiunse il Po. “Quella sera pioveva molto forte, allora sono rimasto al chiuso e non mi sono accorto di niente”. Di quella massa liquida di idrocarburi che avvelenò il Lambro, ricorda solo un vago rumore di ferraglia nella notte. L’attimo in cui, 14 anni fa, uno o più sabotatori (rimasti ignoti) aprivano i rubinetti delle cisterne alla Lombarda Petroli di Villasanta.

Fuoriuscì un’onda nera, scura come i sotterranei in cui vive oggi Giorgio Crespi, che tra il 22 e il 23 febbraio 2010 lavorava come custode dell’ex raffineria alle porte di Monza, finita al centro dell’ecodisastro che tenne per giorni il Nord Italia in apprensione. Un “fantasma” - il 51enne Crespi - mai comparso in aula in questi anni di processi, misteri, verità giudiziarie ribaltate, battaglie sui risarcimenti. Invisibile allora, come oggi. Un’esistenza ai margini, la sua, finita in una cantina di un palazzo di San Rocco, nella periferia monzese, dove dorme e trascina le sue giornate senza far nulla, se non aspettare il pasto dei servizi sociali, o uscire per la doccia allo Spazio 37, realtà che offre assistenza ai senzatetto.

“Sono stato tirato in mezzo a quella storia, condannato senza aver fatto niente, ho rischiato pure di finire in carcere”, dice. Non si è mai scoperto chi, quel 23 febbraio 2010, materialmente entrò nel perimetro della Lombarda Petroli (ex raffineria, e poi deposito carburanti), e manomise due cisterne dalle quali si rovesciarono circa 2.400 tonnellate di idrocarburi che, tramite il canale fognario, raggiunsero il fiume Lambro, fino a confluire nel Po. Crespi, per la prima volta con il Corriere, racconta la sua verità: “Di solito facevo un giro nel cortile per vedere che fosse tutto a posto, anche se non ero nemmeno tenuto a farlo, bastava che stessi in guardiola. Quella sera, però, pioveva molto forte, e allora sono rimasto al chiuso e non mi sono accorto di niente. Ho sentito qualche rumore metallico lontano, ma ho pensato che fosse la pioggia che batteva sulle lamiere. Tutto qui”.

La verità giudiziaria passata in Cassazione nel 2017 lo considera un disastro colposo: fu uno sversamento provocato ad hoc, per sottrarsi al pagamento delle accise su giacenze di carburante in precedenza non dichiarate, ma andato, per negligenza, oltre le iniziali intenzioni (“Non c’era volontà di provocare conseguenze così eclatanti”, per i magistrati). In primo grado era passata la tesi dell’atto doloso, e venne condannato il solo Crespi a 5 anni. In Appello la pena gli venne abbassata a tre anni e mezzo, ma soprattutto la vicenda venne inquadrata diversamente, riconoscendo la responsabilità anche di uno dei proprietari, il petroliere Giuseppe Tagliabue, condannato a un anno e 8 mesi.

Oggi, sull’enorme area tra Monza e Villasanta (310 mila metri quadrati) pesa ancora l’incertezza della futura destinazione, in una querelle infinita tra curatela fallimentare e amministrazione comunale, ricorsi e battaglie legali al Tar, nella quale si inseriscono anche i comitati ambientalisti, che proprio ieri hanno preso posizione con una nota per spingere verso la destinazione “green” del sito. In sede civile è ancora aperta la partita dei risarcimenti: ad aprile 2023 il tribunale ha condannato in solido il petroliere e il custode a risarcire quasi un milione di euro a favore di Regione Lombardia (a fine mese è fissata udienza di appello).

Crespi possiede solo pochi vestiti, un telefonino, e l’aiuto disinteressato di un vicino di casa che, letteralmente, gli ha impedito di sprofondare in un degrado irreversibile: “Nessuno mi ha mai creduto. Sono stato definito un “latitante”, ma non mi sono mai mosso da San Rocco. Ho la sensazione che abbiano messo in mezzo me, mentre altri l’hanno fatta franca”. I servizi sociali seguono la sua situazione, ma ancora oggi viene rincorso da carte e atti giudiziari: “So che con un aiuto posso rimettere in sesto la mia vita”. Al di là delle scelte personali discutibili degli ultimi anni, i fatti della Lombarda Petroli lo hanno inevitabilmente segnato, relegandolo in una specie di caverna urbana senza luce, come se la notte del disastro non fosse mai passata.