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di David Alleganti

La Nazione, 23 ottobre 2022

Una settimana fa sono stato a Gorgona, unico esempio in Europa di isola-carcere. Grazie alla Camera Penale di Livorno presieduta dall’avvocata Aurora Matteucci, ho potuto partecipare a una rappresentazione teatrale, seguita da un convegno dal titolo evocativo sui suicidi in carcere: “Per quanto noi ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti. Morire di carcere: un’altra vita è possibile?”.

Gli attori dello spettacolo, ispirato alle metamorfosi di Ovidio (regia di Gianfranco Pedullà), erano i ristretti di Gorgona, un carcere aperto nel quale i detenuti lavorano, producono e svolgono attività artistiche come appunto il teatro. Sono detenuti definitivi, con pene molto lunghe.

Una realtà, quella di Gorgona, di cui purtroppo si parla molto poco, per questo il lavoro di divulgazione della Camera Penale di Livorno è prezioso. Il tema del convegno era, ahimè, di stringente attualità: i suicidi in carcere. Siamo arrivati a settanta persone che si sono tolte la vita in prigione nel solo 2022.

Abbiamo già superato la quota del 2021 e rischiamo persino di superare il 2001, quando i morti furono 72, il numero più alto della storia dei suicidi in carcere. Un triste primato. Al convegno ha partecipato, tra gli altri, Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che ha parlato anche di Sollicciano, “un carcere che è l’opposto di questo, dove le situazioni sono molto più difficili”. Il dato drammatico dei suicidi in carcere, ha detto Bortolato, autore insieme a Edoardo Vigna di “Vendetta pubblica.

Il carcere in Italia” (Laterza), “coinvolge la responsabilità dei magistrati, che assieme alle altre istituzioni devono governare questo mondo. Dobbiamo partire dalla dimensione patogena del carcere, perché è indubitabile che il carcere provoca sofferenza nel fisico e nella psiche. Ci sono studi scientifici che dicono che i sensi a causa della protrazione della limitazione della libertà subiscono delle modificazioni”. A volte, ha spiegato Bortolato, “i detenuti presentano delle difficoltà evidenti dal punto di vista fisico, non perché abbiano problemi di natura patologica ma perché il luogo attenua alcune sensibilità e poi c’è il problema della psiche”. Il 23 per cento dei detenuti ha disturbi mentali che derivano dall’uso di sostanze stupefacenti, il 17 per cento ha nevrosi.

“Noi dobbiamo cercare di affrontare il problema della dimensione patogena”, ha sottolineato Bortolato. Vito, detenuto, ha detto che il carcere di Sollicciano va chiuso, perché “è un lager”. Da anni operatori ed esperti spiegano perché il carcere fiorentino è un luogo malsano. Tutto il contrario, come dice appunto il dottor Bortolato, di Gorgona.

Ad accogliere i visitatori, dipinto sulle coloratissime case dell’isola disabitata, dove vive un’unica residente, c’è un pezzo dell’articolo 27 della Costituzione. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Troppo spesso politici e opinione pubblica preferiscono variazioni sul tema del marcire in carcere. “In galer a e buttiamo via la chiave”, dicono. Non si tratta di negare le responsabilità penali anche gravissime di chi è condannato. Ma qui il discorso è un altro e riguarda appunto l’articolo 27 della Costituzione. Alcuni di questi detenuti si suicidano quando stanno per uscire dal carcere. Perché non vogliono vedere che cosa li aspetta, là fuori.