sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Amalia De Simone e Titti Beneduce

Corriere del Mezzogiorno, 15 ottobre 2023

Nelle sue mani la gestione del clan, in nome di Raffaele. Lo dichiara Piero Marrazzo, giornalista, il cui padre, Joe, a sua volta giornalista, fu autore di una lunga intervista a Rosetta: “Quando mio padre per primo riuscì a intervistarla - continua Marrazzo - lei mentì sul ruolo di Raffaele, che definì uomo caritatevole, attento a chi cercava lavoro e ai carcerati, senza attribuirgli minimamente quell’accezione criminale che lo portò in pochi anni ai vertici della camorra, seminando paura e morte”. Nacque così la funzione assistenziale della camorra, con lei, Rosetta Cutolo, sorella del boss Raffaele, ‘o professore, personaggio carismatico, pericoloso e visibile. Lei invece agiva nell’ombra e nell’ombra ha gestito l’organizzazione, l’economia, il consenso, la politica, di uno dei clan più potenti della storia criminale italiana.

È morta ieri, ad Ottaviano dove ha sempre vissuto. “E io sempre qua sono stata, anche da latitante”, diceva con quel ghigno a mezza bocca freddo, sicuro e quasi beffardo di chi sa troppo ma non dirà mai nulla. Di chi afferma di stare dalla parte del bene, nonostante il sangue, i morti e l’abisso di una storia criminale che non ammette appello. E infatti si è raccontata come una donna devota, è andata a messa fino a che le gambe le hanno retto. Sul suo manifesto funebre ieri, accanto al nome e al cognome, c’era il nomignolo “delle monache”, che forse racconta un po’ della sua vita. Si dice che quando si nascondeva alla giustizia sia stata accolta in convento, che qualche esponente della chiesa l’abbia aiutata. Si dice anche che i servizi segreti l’abbiano protetta. Poi però fu lei a consegnarsi e trascorse 6 anni (dei 10 originariamente previsti) in carcere dove si diede al teatro, recitando da protagonista Filomena Marturano. “E figl so piezz e core” e forse pure i fratelli.

“Io aiuto mio fratello che fa solo cose buone” disse in un’intervista a Joe Marrazzo sempre con lo stesso ghigno e gli occhi di ghiaccio tesi come quelli di un serpente. “Le cose buone”, nel suo gergo, era “l’antiStato sociale”. E infatti c’era lei alla fine delle file chilometriche di persone che, come devoti in processione, andavano a chiedere la “grazia” al boss.

Ma Don Raffaè era detenuto e questi affari li sbrigava lei, Rosetta. Un ministro del welfare che assicurava posti di lavoro, assistenza sanitaria, dirimeva controversie, intercedeva presso politici, sindaci e istituzioni varie. Perché l’istituzione percepita dalla gente era lei, lì in quel Sud salvadanaio, depresso e dimenticato da quello Stato che si costerna, s’indigna, si impegna e poi getta la spugna con gran dignità. E quindi, stringeva mani, segnava nomi, costruiva consenso. Le invocazioni denunciate da Fabrizio De Andrè: “Voi che date conforto e lavoro. Eminenza, vi bacio, v’imploro”, si trasformavano in voti che si trasformavano ancora in potere, appalti e soldi.

Nco: Nuova camorra organizzata, perché il clan aveva una gestione innovativa e manageriale e tutto questo era nelle mani di quella donna scaltra e solo sedicente gregaria del fratello. E il prezzo che la nostra terra ha pagato per tutto questo è stato altissimo. Morti di camorra, morti innocenti, gestione illegale e criminale della cosa pubblica e privata. Da allora in avanti il cancro della camorra non ha mai più lasciato gli scranni della politica, da allora in avanti è sembrato legittimo confondere il favore e il diritto, svuotando quest’ultimo di valore e significato. Da allora in avanti le mazzette, le tangenti sono diventate normali, da allora in avanti la gente si è assuefatta alla paura e alla subcultura mafiosa. Da allora in avanti la camorra è diventata impresa, economia, lobby, e il suo agire sempre più impalpabile.

Rosetta ha vissuto parte del suo tempo nel castello mediceo di Ottaviano dove aveva soggiornato anche Gabriele d’Annunzio, oggi restituito alla società civile. Come una regina, si potrebbe dire. Ha lasciato ancor prima di morire, un’eredità alle altre donne di mafia degna dei maestri più cattivi. Dopo di lei Anna Mazza, Teresa De Luca Bossa, Erminia celeste Giuliano, Maria Licciardi e insieme a lei Pupetta Maresca: tutte manager col colletto sporco di sangue. E tutte reginette di castelli effimeri. Per questo Rosetta e le sue ideali rampolle non possono avere nulla di leggendario se non nel loro vissuto che alla fine è costellato di miserie e dolore.

Le vere regine sono Susetta, Anna, Carmela, Rita che hanno i padri boss morti ammazzati, i fratelli e i mariti in carcere e tutti giorni lavorano dove trovano da fare, maledicono la camorra e affidano i loro figli alla scuola e alle associazioni che nelle periferie si sostituiscono (questa volta degnamente) allo Stato. Le vere regine a volte vivono nei bassi o nelle case di edilizia popolare e nonostante abbiano giornate lunghissime e faticose, nonostante la diffusa indifferenza che le schiaffeggia ogni giorno, si rimboccano le maniche e resistono al male.