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di Francesco Clementi

Corriere dell’Alto Adige, 22 maggio 2022

“Vi prego, evitate certi commenti: è un’altra giovane vita che se ne va”. Nonostante il cuore gonfio di dolore, Carlo Zanella è riuscito a trovare le parole giuste. Lui è il padre di Maxim, il giovane ucciso lo scorso anno, per motivi che resteranno inspiegabili, da Oskar Kozlowski.

Quando quest’ultimo ha posto fine ai suoi tormenti in una cella del carcere di via Dante (dove era recluso in attesa che iniziasse il processo a suo carico) si è scatenata inesorabilmente la canea dei social. “Ammazzarsi era il minimo che potesse fare, spero abbia sofferto”: questo il tenore di diversi commenti online. Una spirale di rancore che lo stesso Zanella ha provato a fermare con parole semplici, ma piene di pietas e dignità.

Una “storia sbagliata”, per tante ragioni, quella che si è portata via nel giro di un anno due giovani vite. L’errore di un’amicizia concessa forse con troppa generosità da Maxim a un ragazzo divorato dai suoi demoni interiori. Ma anche la vergogna di una struttura carceraria ormai cadente dove - nonostante l’impegno encomiabile di guardie e volontari perennemente sotto organico - non si riesce a garantire quella incolumità dei detenuti sacra come il principio del “nessuno tocchi Caino”. Fino al silenzio delle fonti istituzionali che non hanno ritenuto degna di diffusione la notizia (appresa solo da canali confidenziali) della morte in carcere di un 23enne reo confesso di omicidio.