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di Luna Casarotti*

Il Dubbio, 5 luglio 2023

Riunioni online dal 21 luglio, ogni venerdì dalle 18 alle 19, per confrontarsi. Anche avvocati, volontari, associazioni e garanti potranno inviare le loro opinioni alla mail di Yairaiha Onlus. Nasce un gruppo di sostegno che sarà possibile seguire tramite la piattaforma online zoom affiancata dal medico e psichiatra Vito Totire, attivista e portavoce del circolo “Chico Mendez” di Bologna, dalle 18 alle 19 ogni venerdì a partire dal 21 luglio, in cui sarà possibile raccontare il proprio dolore e confrontarsi con altre persone che hanno vissuto la tragica esperienza di avere familiari morti in carcere. Le riunioni si terranno online e i link per accedere saranno pubblicati sul gruppo telegram “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei morti in carcere”, https://t.me/MortiInCarcere.

Inoltre sarà possibile inviare le storie dei familiari dei detenuti che hanno perso la vita all’interno delle carceri italiane all’indirizzo email dell’Associazione Yairaiha Onlus yairaiha@ gmail. com. Anche avvocati, volontari, associazioni e garanti potranno raccontare il loro punto di vista. Gli 84 suicidi e i 214 morti in totale nel 2022 rappresentano un record drammaticamente allarmante delle carceri italiane. Nel 2023 si sono tolti la vita come soluzione estrema del dolore già 33 persone e si è già raggiunta la soglia dei 68 morti. L’ambiente carcerario è un ambiente altamente deprivante che annienta definitivamente la persona detenuta tanto da trovare nella morte la liberazione. Ci si toglie la vita per segregazione, inalando il gas dal fornellino o con rudimentali corde.

L’impatto psicologico dell’arresto, la condanna, lo stress che si vive quotidianamente in carcere, i pochi corsi formativi e attività di reinserimento sono molto spesso destinati a pochissimi detenuti determinando per i più l’ulteriore condanna all’inazione per la maggior parte del tempo di detenzione. Allo stesso tempo poche misure alternative esterne al carcere, la paura di affrontare la vita al di fuori di quelle quattro mura, la paura di non trovare un lavoro a causa della fedina penale. I morti per malasanità non si contano più. Essere gravemente malato in carcere quasi sempre equivale a una condanna a morte.

L’articolo 27 della Costituzione afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione. L’articolo 32, invece dice che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. In un paese civile chi è nelle mani dello Stato, non può perdere la vita. Forse più persone dovrebbero sapere che la morte assume caratteri d’insopportabilità se avviene in modo traumatico, c’è lo shock e l’incredulità di credere che sia realmente accaduto.

Quando una persona viene a mancare senza permettere alcuna forma di preparazione ci si ritrova completamente spiazzati. Tutti dovrebbero tornare alla libertà e uscire dalle celle con le proprie gambe. Non si può chiudere gli occhi per non vedere, né tapparsi le orecchie per non sentire. Il linguaggio rafforza la distanza psicologica, le etichette riducono le persone a livello di un oggetto e giustificano comportamenti umilianti. La privazione della libertà non è lo strumento più adatto a cambiare in meglio gli individui, se troppe persone sono morte e continuano a morire lo strumento carcere non funziona. Il carcere deve essere investito di un processo di riforma radicale che sconfigga definitivamente trasformismi e cambiamenti di facciata. Morire in carcere e di carcere è fallimento per tutti noi.

*Associazione Yairaiha Onlus