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di Elio Vito

huffingtonpost.it, 25 febbraio 2024

Ci sono due emergenze, vere, reali, tragiche oggi in Italia, due emergenze alle quali il governo e il Parlamento non danno risposta, non trovano soluzioni: i morti sul lavoro e i suicidi in carcere. Nello scorso anno i morti sul lavoro sono stati più di mille, 1.041, quasi tre al giorno e sono stati già 148 dall’inizio di quest’anno, in meno di due mesi. E l’anno scorso ci sono stati 69 suicidi in carcere, in media, praticamente, ogni settimana c’è stato più di un suicidio in un carcere e dall’inizio di quest’anno ce sono stati già 20, un suicidio ogni tre giorni. Poi ci sono i morti per “altre cause” in carcere, spesso per malattie e cause curabili fuori dal carcere, che sono stati 88 lo scorso anno e già 24 quest’anno.

Migliaia di persone che muoiono sul lavoro e centinaia di persone che muoiono in carcere, in Italia. Ogni anno, in Italia, nella nostra bella Italia. Sono dimensioni inaccettabili di tragedie che non dovrebbero nemmeno esistere in una nazione civile. Ed invece esistono, in numeri altissimi, con cifre impressionanti che però evidentemente non impressionano. Non impressionano certamente la politica che, infatti, non se ne occupa. Se ne è occupato solo il capo dello Stato, Sergio Mattarella, con ripetuti richiami, vari moniti, in diverse occasioni pubbliche, convocando la ministra del Lavoro e il garante dei diritti dei detenuti. Ma a questi moniti la politica non ha dato ascolto. Il Parlamento, quando non è impegnato a votare la fiducia la governo, discute di cose importanti come i premi nazionali per i cuochi, di tutelare la tradizione dei falò, di mototerapia, di florovivaismo e di altre questioni fondamentali come il terzo, quarto o quinto mandato per sindaci e presidenti di regione, per favorire qualche proprio esponente o ostacolare qualche avversario. Quando invece scoppiò nel nostro Paese un altro caso di fondamentale importanza, quello del pandoro e della discussa beneficenza di Chiara Ferragni, Giorgia Meloni annunciò immediate misure ed infatti convocò dopo pochi giorni il Consiglio dei ministri per approvare subito un apposito disegno di legge.

Per la situazione invivibile delle carceri l’unica idea che è venuta al governo è stata quella di costruirne altre, di carceri. Anche l’edilizia carceraria evidentemente vuole la sua parte. Ma costruire nuove carceri non servirà a niente. Nemmeno a ridurre il sovraffollamento di detenuti nelle carceri. E il sovraffollamento non è la causa principale dei suicidi in carcere. La vera causa è un sistema della giustizia e delle carceri che è sostanzialmente incostituzionale, che non serve al reinserimento, alla rieducazione, che non dà speranza, produce solo isolamento, solitudine, criminalità, sofferenza, disperazione, morte. Nel silenzio e nell’indifferenza generale. Con solo qualcuno, pochi, come i radicali, ma è giusto non fare di tutta l’erba un fascio, che nel silenzio meritoriamente se ne occupa, digiuna, protesta, ne parla, ne scrive.

Per le morti sul lavoro, l’idea è stata ancora peggiore, quella di dare la colpa agli stessi morti, agli immigrati irregolari che non dovevano venire in Italia, ai lavoratori incauti che avevano fretta di iniziare e concludere prima il loro lavoro. Anche questo è stato detto a proposito di due delle più gravi tragedie sul lavoro che si sono verificate in questi mesi nel nostro Paese, quella sui binari ferroviari di Brandizzo e quella del recente crollo nell’area di un supermercato a Firenze. Come quello che, ignobilmente, fu detto ai migranti morti davanti alle coste di Cutro, che non dovevano partire.

Certo, la magistratura accerterà le cause e le responsabilità delle morti sul lavoro e la giustizia aggiornerà le statistiche sui suicidi nelle carceri. Ma la politica cosa fa? Lo scorso Consiglio dei ministri ha discusso di morti sul lavoro, il prossimo pare varerà dei provvedimenti ma intanto mesi sono passati, oltre un anno, mille persone sono morte e nulla si è fatto. E francamente dubito che i provvedimenti annunciati produrranno effetti. Perché la volontà dichiarata del governo, dichiarata già all’atto della sua nascita, è quella di tutelare chi vuole fare, le imprese. Che sia complicato e difficile fare impresa nel nostro Paese è vero, che le imprese vadano incoraggiate è giusto, anche il profitto è un diritto. Ma accettare che il profitto possa essere prodotto a scapito della sicurezza nei luoghi del lavoro e della vita dei lavoratori è semplice scandaloso. Però è uno scandalo che non fa scandalo. Perché i morti tanto non possono più votare e i lavoratori ormai nemmeno ci vanno più a votare. Così restano solo gli interessi delle imprese da tutelare, quelli sì che contano. E se i sindacati protestano, per il governo sono divisivi, mentre se fanno sciopero vogliono evidentemente solo allungare il fine settimana. Parole incredibili ma realmente dichiarate, dai nostri governanti.

Ha forse ragione, non lo so, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, quando dice che per le morti sul lavoro non serve prevedere nuovi reati, ad esempio l’omicidio sul lavoro. So, però, che quando si è trattato di creare nuovi reati per i raduni musicali, per gli attivisti che imbrattano con vernice lavabile, per i manifestanti che si incollano sull’asfalto, il ministro Nordio non ha avuto la stessa perplessità e i nuovi reati sono stati previsti. Il dissenso deve essere perseguito e chi muore se l’è cercata, questo pare essere il ragionamento. E non è un ragionamento tollerabile. E se già non è tollerabile un governo che fa il forte con i deboli ed è debole con i forti, figuriamoci come può essere tollerabile che ci sia chi se la prende con chi è morto, con chi è morto al lavoro o in carcere. Eppure è tollerato, ammesso, accettato.

E non posso e non voglio, a questo punto, in conclusione, non ricordare chi in questi giorni è morto in un carcere siberiano, Aleksey Navalny e deporre qui, identificandomi pubblicamente come vuole il ministro degli interni Matteo Piantedosi, un fiore alla sua memoria. A differenza del leader della Lega, Matteo Salvini io non ho dubbi sul fatto che Navalny sia morto in carcere per responsabilità del regime di Vladimir Putin. E peccato che in Italia e in Europa, mentre ora si manifesta per non consegnare a un regolare processo negli Stati Uniti Julian Assange, nessuno allora manifestò e protestò quando Navalny fu riconsegnato al regime russo dalla Germania di Angela Merkel, dopo averlo curato da un avvelenamento in Russia. D’altra parte, proprio Putin ci ha tenuto a ricordare nei giorni scorsi quanti amici ha avuto e ha in Italia e come qui si sia sempre sentito a casa. Ha ragione, è vero, anche se molti suoi amici ora lo hanno dimenticato o fingono di averlo dimenticato. Fa bene per questo il nostro presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ad essere e a mostrarsi senza ambiguità, a due anni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, non solo simbolicamente vicina al presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Finalmente senza ambiguità. Quella ambiguità insopportabile nei confronti del regime del dittatore russo che fino a due anni fa, fino all’invasione russa, ma anche in parte dopo, ha caratterizzato la politica, la diplomazia, l’imprenditoria italiana. E siedono ancora in Parlamento, o al governo, o presiedono ancora Regioni, nostri esponenti forse un po’ troppi ingenui che solo qualche anno fa ad esempio lodavano il cosiddetto vaccino russo Sputnik contro il Covid, volevano che fosse ammesso in Italia, che potessero entrare in Italia ancora in emergenza pandemia turisti russi e cittadini sanmarinesi ai quali era stato somministrato, stringevano accordi scientifici con istituti russi (chissà se la Commissione parlamentare d’inchiesta appena istituita si occuperà anche di queste cose), riconoscevano e visitavano la Crimea illegalmente occupata dalla Russia, entravano nei consigli di amministrazione di società operanti in Russia, rappresentavano nel nostro Paese interessi, associazioni e autorità consolari russi, bielorussi o delle province ucraine già allora sempre illegalmente occupate dalla Russia, difendevano come grande scoop giornalistico, da nostrani Tucker Carlson, manifestazioni evidenti della propaganda russa in Italia come l’intervista a Rete4, dopo l’invasione dell’Ucraina, al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov (a proposito, sinceri auguri di buon lavoro ad Antonio Tajani, adesso democraticamente eletto segretario di Forza Italia).