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di Valentina Stella

Il Dubbio, 4 novembre 2023

Il gip Tommaso Perna, che non ha accolto la richiesta di 143 arresti da parte della procura antimafia milanese, ha attirato su di sé pesanti critiche da parte dei media ma anche dalla stessa Dda. Ne parliamo col segretario di Magistratura democratica Stefano Musolino.

Mentre parliamo è in corso una giunta dell’Anm. E almeno fino al tardo pomeriggio non c’è stato alcun comunicato in difesa del collega Perna. Condivide questo silenzio?

Partiamo dal dato positivo. Ho apprezzato molto, per densità dei contenuti e tempestività, l’intervento del Presidente del Tribunale di Milano. Essendo ormai trascorso del tempo, mi piacerebbe che l’Anm, piuttosto che prendere posizione sul singolo episodio, avviasse una riflessione nella magistratura per riannodare le fila di una trama comune sulle dinamiche ortodosse nei rapporti interni alla giurisdizione. Il mio timore è che taluni recenti pessimi esempi di aggressione mediatica dall’esterno ai provvedimenti e alla persona del giudice possano trovare forme di emulazione all’interno della magistratura, specie nei rapporti tra organi inquirenti e giudicanti.

Come si spiega la reazione per molti scomposta della Procura?

Il modo in cui la Procura di Milano ha illustrato l’esito della richiesta cautelare alla stampa e poi come quest’ultima lo ha presentato all’opinione pubblica è preoccupante. È stata persa un’occasione per dimostrare rispetto per l’esito giurisdizionale, nonostante l’importante investimento investigativo profuso. La Procura ha il dovere di rappresentare la sua ricostruzione dei fatti, dando conto della precarietà delle conclusioni dimostrative raggiunte, senza contraddittorio con la difesa. A maggior ragione quando quella ricostruzione è stata smentita dal primo esito giurisdizionale. Quando, invece, l’unica fonte delle informazioni propone una pubblica critica sia al provvedimento, sia al giudice che lo ha emesso, trasmette all’opinione pubblica l’idea che soltanto la Procura sia depositaria della verità e questo nuoce alla comprensione della complessità della giurisdizione.

Quindi la Procura ha una responsabilità nell’aver alimentato la gogna contro Perna?

Non credo che, per quanto bravi, i giornalisti possano avere avuto il tempo di vagliare tutto il materiale investigativo e farsi opinioni già così nette sulla vicenda, senza che ci fosse qualcuno - Procura o polizia giudiziaria - a orientare una certa lettura di un provvedimento così corposo. Ora, a prescindere da chi abbia “istruito” la stampa, la Procura ha la responsabilità di garantire che questo momento informativo si sviluppi secondo regole di sobrietà e rispetto dell’operato della giurisdizione, mentre il messaggio trasmesso è stato quello per cui il giudice non fosse stato capace di intendere le magnifiche intuizioni investigative proposte dalla ricostruzione accusatoria.

Il sospetto è che l’Anm usi due pesi e due misure: se ad attaccare un giudice è la politica, scatta immediatamente la difesa, quando le diatribe sono interne si preferisce tacere...

Lei coglie un profilo che avevo già evidenziato in un recente intervento pubblico. È un dato obiettivo che la magistratura fatichi ad intuire quanto sia pericolosa la molestia interna all’esercizio libero e sereno - in scienza e coscienza - della giurisdizione. Questa molestia, infatti, è ancora più insidiosa per l’imparzialità del giudice, di un’aggressione esterna a cui siamo ormai abituati e preparati.

Perché siete più impreparati a gestire gli attacchi interni?

Esiste un riflesso corporativo, fondato sul presupposto che il collega sia sempre corretto e leale, perché condivide la tua stessa fatica giurisdizionale. Si tratta di un pregiudizio positivo, se vogliamo. Tuttavia, l’imparzialità del giudice non è un dato statico, ma va quotidianamente sottoposta a verifica sia nei rapporti esterni, sia in quelli interni, a tutela della qualità della giurisdizione. Credo che quello a cui abbiamo assistito sia un primo riflesso culturale della programmata riforma sulla separazione delle carriere.

Ci spieghi meglio...

Una delle disfunzioni di un’eventuale riforma costituzionale sarà un pubblico ministero molto legato al risultato, secondo una logica “vinco/ perdo il processo”, piuttosto che un pm lealmente indifferente all’esito delle sue indagini, perché proiettato sul risultato giurisdizionale che è qualcosa che va oltre la sua parziale rappresentazione del fatto. Se si arriverà alla separazione delle carriere quello che oggi stiamo giudicando come un dato patologico nei rapporti pm/ giudice diverrà fisiologico.

“Conflitti e diritti in un mondo in movimento” è il titolo del vostro congresso. Che messaggio volete lanciare?

Ci piacerebbe dare il nostro contributo ad una magistratura sempre più consapevole che nel mondo dei diritti sono in corso una serie di conflitti in cerca di una soluzione bcapace di contemperare esigenze contrapposte. Il conflitto è un fattore di crescita e sviluppo dei diritti se gestito secondo una logica di progressivo affinamento e miglioramento degli equilibri tra interessi contrapposti. Più la magistratura sarà consapevole di questo suo ruolo, sempre meglio farà il suo lavoro.

Ma non spetta alla politica risolvere questi conflitti? Non siete stanchi di colmare il vuoto legislativo?

Non so se siamo stanchi, certamente non lo sono le persone che bussano alle nostre porte per chiedere tutela dei propri diritti. È un tema complesso in cui si innestano: prevedibilità del diritto; capacità di interpretazione costituzionalmente orientata, nei limiti consentiti dal testo normativo; rispetto dei principi sovranazionali vincolanti, anche se non recepiti dal legislatore nazionale.

Come vi difendete dall’accusa di politicizzazione?

Credo che il magistrato più politicizzato sia proprio quello che fa professione di impolitica. Un magistrato afasico, amorfo, che galleggia sul fiume delle maggioranze contingenti, per raggiungere gli scranni più alti della corporazione, schivando - senza farci caso - principi costituzionali e norme sovranazionali. Un magistrato che fa dell’imparzialità un alibi per giustificare un’interpretazione asettica del diritto, senza alcuna consapevolezza del suo ruolo costituzionale. Non è un caso che l’elogio di questo tipo di giudice sia stato fatto dal movimento politico più ingenuo ma forse anche più genuino: la Lega che ha osannato le recenti scelte di Magistratura indipendente sulla vicenda Apostolico. Questo endorsement, per paradosso, manifesta, nella sua solare ed inscalfibile concretezza, quale sia la parte della magistratura più autenticamente prossima alla politica parlamentare. E infatti, non credo sia un caso che alcune recenti dichiarazioni del Segretario Piraino e della Consigliere Nicotra, entrambi di MI, abbiano trovato subito eco nelle dichiarazioni del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Ci sono sinergie culturali sempre più manifeste che dicono molto di chi, in questo momento, sia culturalmente collaterale a fazioni politiche. Non lo è certamente la magistratura progressista, meno che mai quando invoca il rispetto dei principi ed equilibri costituzionali, nel contesto di plurali fonti sovranazionali.