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di Antonio Averaimo

Avvenire, 10 settembre 2023

Viaggio nel centro di detenzione di Secondigliano, dove il riscatto di 5 persone ad alta sicurezza passa attraverso il lavoro della terra: un progetto che li fa sentire sempre più parte della società. La cooperativa “L’uomo e il legno”, da dieci anni ha dato vita a “Campo aperto”: i prodotti coltivati dai detenuti (pomodori, melanzane e zucchine) vengono anche venduti online.

Come tutti i normali agricoltori, si recano di buon mattino sui terreni da coltivare. Lì raccolgono i loro pomodorini rossi e gialli, le loro melanzane, le loro zucchine, producono il loro olio. Tutti prodotti che, con la speranza del buon esito, finiranno sulla tavola degli italiani. I contadini in questione sono contadini “speciali”: cinque ergastolani detenuti nel carcere “Pasquale Mandato” di Secondigliano.

Ma a sentire Rita Caprio, presidente della cooperativa “L’uomo e il legno”, che ha dato vita dieci anni fa a questo progetto denominato “Campo aperto” insieme con l’ex direttore del penitenziario napoletano, questo particolare è bilanciato da non pochi fattori positivi. “Il lavoro nei terreni agricoli del carcere - spiega la presidente della cooperativa nata trent’anni fa a Scampia, a poca distanza dall’istituto - alleggerisce lo stato di detenzione: stiamo parlando di detenuti dell’Alta sicurezza.

L’impegno al mattino e il lavoro, regolarmente retribuito, dà loro dignità. Non solo: anche l’incontro quotidiano con noi, cioè con persone esterne al carcere, li fa sentire ancora parte della società da cui sono stati strappati per i reati che hanno commesso”. Non vanno sottovalutati inoltre, prosegue la direttrice, “il rapporto con la terra, capace di restituire a chi la lavora un grande senso di libertà, e il fatto che progetti del genere consentono di applicare alla lettera l’articolo 27 della Costituzione, che attribuisce alla pena una funzione rieducativa”.

Ai cinque detenuti-agricoltori si aggregano anche altri, per ora solo volontari. Tutti sono seguiti dalla presidente della cooperativa “L’uomo e il legno”, che li assiste insieme con un agente penitenziario e l’agronomo Gerardo Rusciano. “Il contributo dato dai volontari è ancor più lodevole - spiega la responsabile della cooperativa - perché è frutto di una reale motivazione. Tra i nostri principali obiettivi c’è anche quello di riuscire ad aumentare il numero dei detenuti impegnati nel progetto. Ed è a questo che punta la vendita dei nostri prodotti, che avviene online o sfrutta canali privilegiati come le altre realtà del Terzo settore del territorio. Sempre a tale scopo, mettiamo in vendita durante le feste natalizie il “Pacco dal carcere” composto da prodotti confezionati nel centro detentivo di Secondigliano e in tre altre carceri campane, nelle quali sono attivi progetti simili a “Campo aperto”.

Tra i cinque detenuti-agricoltori del carcere di Secondigliano c’è anche uno che ha ottenuto la semilibertà e ha deciso di diventare socio della cooperativa. Oppure un altro che è tornato a casa in regime di detenzione domiciliare a causa di una grave malattia, ma si è detto già pronto, una volta guarito, a tornare a coltivare i terreni del penitenziario nel quale fino a poco tempo fa era recluso. Un altro ancora si è laureato in Sociologia nel polo universitario dell’istituto.

Nata come falegnameria destinata a tossicodipendenti, ragazzi con precedenti penali o con una situazione di degrado familiare alle spalle, la cooperativa “L’uomo e il legno” è una delle realtà del variegato mondo del Terzo settore di Scampia, nato a due passi dalle Vele, simbolo del degrado e dell’oppressione su questo quartiere messa in atto dai clan della camorra. Solo in seguito è entrata nel campo della formazione e del reinserimento sociale dei detenuti.

“Campo aperto” nasce proprio così, grazie a un’intuizione del fondatore e allora presidente della cooperativa di Scampia, Vincenzo Vanacore. Fedele alla sua vocazione originaria, nel carcere della periferia nord napoletana “L’uomo e il legno” gestisce anche la falegnameria interna al carcere. Il suo direttore tecnico è Vittorio Attanasio, marito della presidente della cooperativa. Anche lui era un ragazzo con un passato difficile alle spalle quando entrò a 16 anni nella bottega fondata da Vanacore. Ed è lì che conobbe la sua futura moglie, che all’epoca era una volontaria. Ora quel ragazzo è diventato un uomo e insegna agli altri ciò che gli altri hanno insegnato a lui: un’altra bella storia, la sua.