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di Viviana Lanza

Il Riformista, 21 settembre 2022

Sarà l’autopsia a chiarire se la morte sia stata effettivamente causata da un infarto e soprattutto a dire se poteva essere evitata con un intervento diverso, forse più tempestivo. Parliamo della morte di Luigi Perrone, 56 anni, detenuto del carcere di Poggioreale deceduto in una cella del reparto Livorno, nel più grande penitenziario cittadino.

Ennesima morte di carcere, siamo ormai oltre i centodieci casi tra suicidi e malori fatali nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Ed ennesimo dramma di una strage che si consuma nel silenzio dell’indifferenza politica e di gran parte dell’opinione pubblica. Ci sarà un’autopsia sul corpo di Luigi Perrone, ci sarà un’indagine per chiarire e capire. I familiari del detenuto, che viveva a Quarto (Napoli), intendono nominare un proprio consulente di parte e denunciano una serie di ritardi.

“Mio zio chiedeva da tempo di essere sottoposto a una visita specialistica perché diceva di non stare bene, ma le sue richieste non sono state accolte”, racconta Enzo, un nipote di Perrone. “Io facevo spesso i colloqui con lui in carcere, mi diceva che i detenuti sono solo numeri, da lasciare in attesa, sospesi per chissà qualche tempo e se i dolori sono troppo forti il rimedio è prendere una peppola e via. Nel caso di mio zio sarebbe servita invece una visita specialistica”, aggiunge il nipote. “Da giorni mio zio si sentiva peggio del solito, lamentava dolore al braccio e vomito. Che cosa sarebbe costato al carcere chiamare un’ambulanza? Mi chiedo. Perché con quei sintomi mio zio non è stato portato in ospedale?”. I familiari di Perrone hanno molte domande a cui attendono di avere risposta. Molte domande e altrettanti dubbi. “Mio zio ha sbagliato e per questo era detenuto, aveva commesso un reato di ricettazione ma non meritava di morire così. Nessun essere umano merita di morire così. Il diritto alla salute è un diritto che deve essere garantito a tutti”, aggiunge il nipote di Perrone.

Il timore è che questa storia sia l’ennesimo dramma in cui hanno un peso anche tutte quelle criticità che affliggono il sistema penitenziario, criticità che riguardano il funzionamento dell’intera macchina nazionale, appesantita dal sovraffollamento, dalla carenza di personale e dalla difficoltà di garantire assistenza a tutti i detenuti. Poi un dramma nel dramma, nella storia di Luigi Perrone: i familiari hanno saputo del decesso tramite i giornali e i social. “Stavamo consultando alcuni siti di informazione ed è apparsa la notizia del detenuto deceduto nel carcere di Poggioreale. Abbiamo letto il nome, il padiglione, l’età. Tutto faceva pensare a nostro zio - racconta Enzo -. Abbiamo immediatamente contattato l’avvocato, il quale ci ha risposto di non sapere nulla e fino a ieri mattina nulla gli era stato ancora ufficialmente comunicato. Fino alle cinque e mezzo del pomeriggio abbiamo brancolato nel buio, con la terribile sensazione che il Luigi detenuto di cui parlavano gli articoli di giornale fosse nostro zio”.

Poi in serata la conferma, e ora l’attesa per l’autopsia e per l’esito delle indagini che chiariranno le cause reali del decesso e se eventualmente si sarebbe potuto evitare. “C’è un allarme silenzioso e silenziato sulle morti in carcere e di carcere - commenta il garante regionale Samuele Ciambriello -. Ogni diversamente libero ha alle spalle qualcosa di unico, per questo la pena non deve dimenticare l’unicità di ciascuno. Per il carcere occorre fare di più e fare presto”.

Il garante cittadino Pietro Ioia punta il dito ancora una volta sul sovraffollamento, problema irrisolto del sistema penitenziario: “Sovraffollamento e precarietà della situazione igienica e sanitaria sono le costanti della vita in carcere a Poggioreale - e lo Stato non garantisce gli standard minimi di dignità e di assistenza sanitaria”. La storia di Luigi potrebbe indirettamente essere l’ennesimo dramma che affonda le sue radici anche nell’indifferenza carceraria causata dal sovraffollamento eccessivo, in quei diritti mortificati da un sistema che è al collasso e non ce la fa a prendersi carico di tutti. La popolazione detenuta è in aumento. In Campania siamo a quota 6.694 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 6.131 complessiva nei quindici istituti di pena della regione. In Italia il numero di detenuti, secondo i dati diffusi dal ministeri e aggiornati al primo settembre, è di 55.637 reclusi, a fronte di 50.922 posti. Parliamo di cinquemila detenuti in più nelle celle italiane, di oltre cinquecento detenuti in eccesso nelle celle campane dove le carceri sono per lo più strutture già di per sé fatiscenti o comunque poco idonee ad ospitare tante persone, perché mancano gli spazi, manca il personale. Come si fa a garantire in luoghi simili il più elementare dei diritti? Come si fa in queste condizioni a fermare la strage silenziosa delle morti in cella?