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di Antonio Mattone

Il Mattino, 20 marzo 2024

È trascorso un anno da quella maledetta notte che inghiottì la giovane vita e i sogni di Francesco Pio Maimone, ucciso con un colpo di pistola. Francesco Pio era seduto presso gli chalet di Mergellina al termine di una giornata di lavoro. Carlo, il suo amico del cuore, non riesce a darsi pace. Era accanto a lui quella sera e i ricordi riaffiorano come un fiume carsico che all’improvviso torna in superfice.

“Stavamo per conto nostro, nessuno sguardo di sfida, nessuna parola di troppo”, subito chiarisce. Occhi svegli e profondi che trasmettono la voglia di vivere e di guardare lontano, ma sempre con Pio accanto, che resta il suo compagno inseparabile. Sul telefonino mostra le immagini di una vita assieme. Il suo sguardo trasmette empatia, non c’è rancore né rabbia, ma solo l’incredulità per una morte senza senso. “Io non capisco perché si deve uscire con una pistola addosso, uno si vuole divertire e deve incontrare chi si crede importante solo perché maneggia un’arma e spara nel mucchio”. Ribadisce che neanche li conoscevano quelli che avevano litigato per una scarpa sporcata.

Tutti lo chiamavano Pio ma gli piaceva essere chiamato Checco. “Con lui ero sempre felice - ricorda Carlo - quando ero triste ridevo. Stavamo sempre insieme, e facevamo i pizzaioli, anche se in locali diversi: c’era troppa confidenza tra noi, non potevamo lavorare allo stesso posto! Lui finiva il turno prima di me e lo trovavo fuori la pizzeria o sotto casa mia”.

E quella sera fu proprio Pio ad insistere per uscire: “Ma come, è domenica e dobbiamo stare a casa?” Il tempo di una doccia veloce e via.

Dovevano andare a Fuorigrotta, poi la telefonata di un amico e il cambio di programma. I tre vanno in macchina a Mergellina e si fermano nei pressi dello chalet Sasà. Pio era l’unico seduto su di uno sgabello, gli altri in piedi. Il tempo di comprare le noccioline e di scambiare qualche battuta con tre ragazze di Pianura che già conoscevano, poi i colpi di pistola. Qualcuno urla “è a salve, è a salve”. Pio riesce solo a pronunciare “Carlo Carl…”, come se volesse dire all’amico che i colpi invece erano veri.

E’ stato un attimo, ripete più volte, io stavo avanti a lui, il proiettile mi ha sfiorato e solo per poco non mi ha colpito. Sembra una casualità o un destino crudele afferma senza convinzione. Ma una morte così non può essere etichettata come una tragica fatalità. Non possiamo accettare impotenti che a un giovane vengano rubati in questo modo gli anni della sua vita. Carlo crede che il suo amico sia svenuto, ma quando gli alza la maglietta e vede il foro del proiettile in petto e il sangue che scorre si rende conto che è stato colpito. Alcuni cercano di confortarlo ma nessuno lo aiuta. E allora non si perde di coraggio, da solo, nonostante sia esile, lo prende in braccio e lo mette in macchina per l’inutile corsa verso l’ospedale dei Pellegrini.

“Devi sapere che cosa ho passato quella sera”, mi dice. Racconta che in caserma lo trattennero per 18 ore. Un brigadiere gli mise la mano sulla spalla e gli disse di raccontare tutta la verità, “altrimenti vai carcerato”. Pensavano che Pio dovesse avere fatto qualcosa per essere stato sparato.

Eppure Pio non ha mai fatto “tarantelle”, non litigava mai con nessuno, la sua forza era il suo sorriso, così riusciva a disarmare tutti. Lo ricorda anche Adele la sua maestra: “Non aveva mai rivali, tutti erano amici suoi”. Ora Carlo lavora nella pizzeria dove stava Pio e confida: “Questo mestiere non mi appassionava, ma adesso mi deve piacere per forza perché è il mestiere del compagno mio. Voglio andare in Svizzera perché qua non si può stare”.

Poi afferma con orgoglio: “sono diventato più forte, sto crescendo e Pio mi trasmette il suo sorriso”. Ma il pensiero torna sempre a quella sera: “come si fa a vivere con il peso di aver tolto la vita a un ragazzo di 18 anni? I film fanno male!”. Alla fine un’amara considerazione: “chi ha ucciso Pio ha ucciso tutta Napoli. Dal lungomare vedi la città e il mare, cosa c’è di più bello? Ti fumi una sigaretta agli chalet, cosa vuoi di più? Ma adesso questo non si può fare più, ti devi stare attento”. Ora che sono passate la rabbia e l’indignazione, resta solo una domanda senza risposta: “perché per divertirsi a Napoli si deve uscire con una pistola addosso?”.