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di Roberto Saviano

Corriere della Sera, 26 maggio 2023

La bimba ferita al bar dove la sua famiglia stava mangiando un gelato e le sparatorie per marcare il territorio: spesso di fronte a queste tragedie si dice: “Famiglia colpita accidentalmente”. Ma non c’è nulla di accidentale quando spari. La famiglia di Sant’Anastasia non era nel posto sbagliato al momento sbagliato. La famiglia di Sant’Anastasia era nel posto giusto al momento giusto. Chi era nel posto sbagliato al momento sbagliato, a commettere atti sbagliati, erano i ragazzi che hanno sparato. Bisogna ristabilire le logiche, le affermazioni, le parole scelte per descrivere l’orrore. Perché spesso di fronte a queste tragedie si dice: “Famiglia colpita accidentalmente”. Non c’è nulla di accidentale quando spari, bisognerebbe forse più precisamente dire: “Famiglia colpita durante la sparatoria, anche se non era l’obiettivo di quella sparatoria”. Ma poi ne siamo così convinti non fosse l’obiettivo della sparatoria? Certo, la famiglia non c’entra nulla con le dinamiche di camorra. Padre, madre e i due figli si trovano davanti al bar per mangiare un gelato quando dalla mitraglietta partono i colpi. Colpiscono la madre, Anna, all’addome (è ricoverata, ma non grave); il padre, Mario, ferito alla mano. Illeso il figlio più piccolo della coppia, di soli 6 anni. Assunta, invece, viene colpita da un proiettile allo zigomo e si trova ora in prognosi riservata all’ospedale Santobono di Napoli. Ma l’obiettivo delle stese è proprio questo: colpire a caso tutto, punto. Tutto, non tutti.

Generalmente le stese puntano alle cose: auto, palazzi. Sono fatte per lasciare traccia, forare, scalfire pietre, infrangere vetri, sfondare saracinesche. Stesa, per chi non viene dalla mia terra, per chi nulla sa di queste storie, è una parola sconosciuta. Per stesa s’intende quando su moto e motorini due o più persone sparano all’impazzata. Si chiama stesa perché, quando accade, tutti si sdraiano. “Iamm a fa na stes”, significa proprio “andiamo a far stendere tutti” o per paura o perché buttati giù dai colpi. Arrivano in moto o in scooter armati di pistole ma anche di fucili d’assalto. Iniziano a sparare in aria e poi indirizzano i colpi verso finestre, palazzi, auto, negozi, magari vicini a clan rivali, oppure negozi del proprio quartiere. Chi non si stende muore. Ma durante le stese spesso non tutti si accorgono del pericolo.

Nel settembre 2015, fu colpito un ragazzo di 17 anni, Gennaro Cesarano, in piazza San Vincenzo, nel Rione Sanità, dove abitava. Una paranza, cioè un gruppo di giovani camorristi, entra nel quartiere. Vuole dominare, e per farlo deve terrorizzare, e per terrorizzare deve sparare a caso. Un proiettile recide la giugulare del ragazzo. Pochi mesi dopo, il 31 dicembre, un’altra stesa. Sparano contro un palazzo. Un proiettile entra in un bar di piazza Calenda, a Forcella, e ammazza. Il 24 marzo 2016, stessa cosa, un’altra stesa. Ma le paranze ammazzano anche quando non sparano, perché sfrecciano con gli scooter e travolgono chiunque intralci la loro corsa sfrenata. Nel giugno 2016, la stesa è opera del clan Lo Russo. Decide di punire Walter Mallo, del Rione Don Guanella, perché ha iniziato a rendersi autonomo: il gruppo di fuoco in moto cerca lui e i suoi uomini, ma quando non li trova, le mitragliette cominciano a sparare all’impazzata. Inizia a sparare sulle auto, sui palazzi, non è importante che appartengano a Mallo o ai suoi affiliati: l’obiettivo è terrorizzare tutti. Le moto corrono veloci e travolgono una donna di 64 anni, Giovanna Pajetta, che sta attraversando la strada.

Negli audio ascoltati dagli inquirenti tramite le microspie, si sentono i killer farsi beffe di lei dopo averla investita. È tutto crudele, inumano, cieco, come il terrorismo. Ma le stese sono proprio questo: una forma di terrorismo messo in atto dalle organizzazioni criminali. Il primo atto di questa nuova fiera dell’orrore va in scena nel 2009, nel bellissimo quartiere di Pigna Secca. Viene ucciso un nomade rumeno, Petru Birladeanu, mentre suona la fisarmonica fuori dalla stazione di Montesanto. Era successo che due gruppi si erano inseguiti, sparando. Una delle due batterie di fuoco era entrata nel quartiere per sparare in aria, per farsi vedere, ma era stata intercettata da un altro gruppo pronto a fermare la stesa. Il fuoco incrociato colpisce Petru Birladeanu che cade morto mentre tutti scappano.

La stesa nel bar di Sant’Anastasia sembra però avere una dinamica diversa, appare come una vendetta. Allontanati dal bar, due ragazzi di 19 e 17 anni si vendicano sparando a caso. Sparare a caso non significa sparare evitando di colpire persone, significa sparare letteralmente a caso. Il padre di uno dei due ragazzi armati, il minorenne, era stato ammazzato undici anni fa in un agguato di camorra. Ecco l’eredità che i camorristi lasciano ai figli: la morte. Oggi si comanda con le stese, che sono il mezzo più veloce e più diretto per far capire a un territorio chi bisogna temere, perché sia chiaro che tutti sono in pericolo se non c’è sottomissione a potere protettivo della camorra. I morti innocenti non sono danni collaterali dentro la dinamica del “si ammazzano tra di loro”. Sono parte della guerra. Per questa ragione il “si ammazzano tra loro” è un adagio falso: tutti siamo obiettivi quando l’unico risultato che cercano è il comando.