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di Roberto Saviano

Corriere della Sera, 22 marzo 2023

La “faida della minigonna”, le risse per uno sguardo: a Napoli guardare in faccia qualcuno significa entrare nel suo territorio. Futili motivi. Morire per futili motivi. In realtà, non esistono futili motivi laddove ogni atto, ogni gesto, rientra in una semantica simbolica precisa, pericolosa, che va a descrivere potenti e sottomessi in una gerarchia continua dove se non rispondi o se rispondi, dove se ignori o se ingaggi, puoi essere definito socialmente un perdente o al contrario pronto a difendere il tuo onore.

Una domanda inevasa, una risposta solerte, una non risposta possono decretare il proprio ruolo sociale. Oggi si muore per un piede calpestato involontariamente su scarpe appena comprate. È così che l’altra notte è morto a Napoli Francesco Pio Maimone, 18 anni. Siamo a Mergellina, davanti agli chalet, il luogo delle birre e dei taralli, in una Napoli diventata un lunapark per turisti e ragazzi, che vivono la perenne quinta che è diventata la città. La vicenda non lo riguarda, nella calca qualcuno pesta involontariamente le scarpe (altra versione è versa del vino) a un ragazzo, che come reazione tira fuori una semiautomatica e fa esplodere diversi colpi. L’obiettivo dei proiettili scappa e tre colpi colpiscono Francesco Pio, che sente un forte bruciore al petto, si accascia, e prima di spegnersi dice solo “non respiro”. Il presunto assassino sembra un giovane guaglione di camorra di Barra, ma il tema, anche se si tratta di un malavitoso, è: si può sparare perché qualcuno ti ha sporcato le scarpe?

Le regole della criminalità organizzata sono altre. Uccidere quando necessario, su ordine dell’organizzazione. Non esporsi inutilmente. Eppure non è sempre così, soprattutto quando si tratta di giovani in strada. Nella semantica delirante fondata sul maschio - ostentare e difendere la propria inviolabilità - tutto diventa minaccia e onorabilità affrontata. L’ansia di questi guaglioni è di essere considerati deboli, esposti allo sfottò. Vogliono essere temuti. E se viene pestata una sneaker nuova, chi l’ha fatto va punito. Sono terrorizzati dal perdere la capacità di intimidazione: per loro significa perdere soldi, il potere vero, l’aura di ferocia e guasconeria. Devono reagire sempre. Da ragazzino mi sarò trovato in decine di risse che partivano solo da una frase: “Oh, ma m’ha guardat?”. Guardare in faccia qualcuno significa entrare nel suo territorio e per farlo devi essere autorizzato. Se non è un tuo amico o un tuo parente, significa che gli stai entrando in casa e lui può decidere se autorizzarti o pestarti. Spesso a innescare questa violenza è l’alcol, la coca, una pallina da dieci euro. Strafatti di bamba o ubriachi e armati di pistola, sparano, accoltellano, ammazzano per un pestone su un paio di scarpe.

Voleva fare il pizzaiolo, Francesco Pio Maimone. Sul suo telefono l’ultimo messaggio chiedeva di essere assunto come muratore per guadagnare qualcosa. Non era in nessun giro di malaffare, lavorava. È morto mentre era con degli amici davanti al mare di Napoli. Ma il passaparola della stampa locale, pur in presenza di prove della totale estraneità di Francesco Pio alla dinamica dell’alterco, parla del padre pregiudicato (e allora?, lui ha colpe?) e di una sua amicizia con uomini del narcos Antonio Gaetano. Perché lo fanno? Perché a Napoli si rassicura la borghesia della città e la politica locale e nazionale con il “si ammazzano tra di loro, state tranquilli che a voi succede niente”. È così che si fonda l’omertà e l’ignoranza, spingendo sempre altrove il problema e lasciando credere che la violenza riguardi i violenti.

In una città complessa, quando nasci in un quartiere misero è ovvio che cresci con pregiudicati. Francesco Pio era di Pianura, quartiere povero con una camorra ferocissima. Viveva in via Escrivà, roccaforte del clan Esposito Calone Marsicano, in queste ore in pieno subbuglio per una guerra per il controllo dei gadget del Napoli Calcio. La camorra di Pianura un tempo viveva intorno alla discarica che è stata per anni terreno di scontro politico. Non era nemmeno nato Francesco Pio quando nella discarica della sua zona smaltirono una balena: sì, proprio una balena spiaggiata in Liguria, rifiuto speciale costoso da smaltire, che la camorra sversò lì assieme a una valanga di rifiuti velenosi provenienti da ogni parte d’Italia.

Quello che è accaduto a questo ragazzo di 18 anni non è il primo caso. La paranza dei bambini, il gruppo di camorristi minorenni che egemonizzò il centro storico di Napoli per anni comandato da Emanuele Sibillo, uccise Maurizio Lutricuso davanti a una discoteca a Pozzuoli. Maurizio aveva chiesto una sigaretta e quando questi ragazzi non gliel’avevano data lui aveva risposto a tono. Battute tipiche: “Hai una sigaretta?”, “Non fumo”, “Quando inizi?”. Battute del genere scatenarono la rissa dove il paranzino Salvatore, detto Tore ‘o malign, ancora minorenne all’epoca dei fatti, che non sembrava avere la meglio e allora decise di sparare e ammazzare Maurizio. Una vicenda simile si verificò nel 2006.

Durante la festa dei mondiali vinti in Germania, un giovane con l’asta della bandiera tra le mani colpì per sbaglio la testa di un minorenne, fratello più piccolo di due camorristi, Luigi e Nicola Torino. Questo aggredì Michele Coscia, che reagì, e allora andò a chiamare i fratelli, lo indicò tra la folla, e loro lo ammazzarono sparandogli al petto. I Torino non sono una famiglia qualsiasi, sono una famiglia mafiosa vicina al clan dei Lo Russo di Secondigliano, e Michele Coscia, sventolando quella bandiera, aveva colpito la testa del fratello minore di Luigi e Nicola Torino. Michele Coscia, invece, era il fratello di Alberto Coscia, un camorrista loro rivale che era stato ucciso nel 2004. Quindi il suo gesto, compiuto davanti a tanti tifosi, assumeva un significato che Michele era ben lontano dal voler mandare.

Per cose del genere si scatenano persino guerre. Una delle più feroci della storia della criminalità organizzata è la “faida della minigonna”. Tutto ebbe inizio quando in un luogo non troppo distante da dove è stato ammazzato Francesco Pio, un ragazzo avvicinò una ragazza e iniziò a ballarle vicino. Gennaro Romano, del rione Monterosa a Secondigliano, non sapeva che quella ragazza era di un territorio avversario, Masseria Cardone, e che non le era permesso nemmeno di accettare o rifiutare le sue avances. Un gruppo intervenne e pestò Romano, il quale dopo due ore, con altre persone al seguito, cercò di ammazzare qualsiasi affiliato del clan Licciardi, solo per lanciare un messaggio. Ammazzarono Brancaccio, che era uno dei migliori amici del Principino Vincenzo Esposito, 21 anni, erede al trono di Secondigliano, e lui a quel punto decise di vendicare l’amico, ma sarà a sua volta ammazzato. La faida proseguì per quasi venti anni e portò a 86 morti. Fu chiamata “della minigonna”, in perfetta logica sessista, incolpando l’indumento che aveva eccitato un guaglione sbagliato. Potrei andare avanti all’infinito raccontando episodi simili, e qualsiasi commento come barbarie o sottosviluppo andrebbe bene, ma non ci aiuterebbe a comprendere che queste dinamiche ci appartengono. Ma tanto che importa? Teniamo il golfo più bello, no?