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di Sandra Figliuolo

palermotoday.it, 13 dicembre 2022

Era recluso a Secondigliano, dove avrebbe avuto un infarto: il pm ha disposto l’autopsia per accertare le cause del decesso. Condannato all’ergastolo con il Maxiprocesso, ha passato quasi due terzi della sua esistenza dietro le sbarre. Il Garante campano dei detenuti: “Era malato da tempo, disumano non farlo morire a casa”.

È stato uno dei killer più spietati di Cosa nostra e da oltre 40 anni era ormai rinchiuso in carcere. Ed è lì che è morto, in una cella del penitenziario di Secondigliano, a Napoli, Antonino Marchese, 65 anni, fratello di Pino - il primo pentito della mafia “vincente” dei Corleonesi - ma anche di Vincenzina, la moglie del boss Leoluca Bagarella, che si suicidò nel 1995, nonché nipote di Filippo Marchese, alias ”milinciana”, storico boss di corso dei Mille e “amministratore” della Camera della morte di Sant’Erasmo.

A stroncare il mafioso - che ha sempre negato di aver fatto parte di Cosa nostra - sarebbe stato un infarto. Il pm della Procura di Napoli che era in turno quel giorno - il primo dicembre - ha deciso di disporre comunque l’autopsia per accertare le cause del decesso.

A confermare la notizia a PalermoToday è il garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello: “Il decesso risale al primo dicembre, Marchese era malato da tempo. In 41 anni passati in carcere, per lungo tempo al 41 bis, non ha mai ottenuto un permesso. Soltanto qualche settimana prima della morte gli è stato concesso di uscire per qualche ora, ma restando a Napoli. Un dato che a mio avviso dimostra la disumanità e l’assenza di pietas davanti anche a reati gravi: si sarebbe potuto fare in modo da farlo morire a casa. Invece è morto nella sua cella”.

Marchese era detenuto con altri ergastolani ex 41 bis come lui e, alla luce dei suoi problemi di salute, era assistito dal personale medico del carcere di Secondigliano. Il primo dicembre si sarebbe sentito male ed avrebbe chiesto aiuto. Gli agenti e i medici lo avrebbero soccorso, ma inutilmente.

Decine e decine gli omicidi a cui Marchese ha preso parte nei pochi anni della sua vita che ha trascorso da libero cittadino. Venne arrestato nell’agosto del 1983 e poi condannato all’ergastolo nel primo Maxiprocesso. Ergastolo che rimediò anche per l’omicidio di Vincenzo Puccio, assassinato nella sua cella dell’Ucciardone nel 1988 a colpi di bistecchiera in ghisa.

Ha sempre parlato del fratello pentito come di un “tragediatore”, sostenendo che “tutto quello che dice sono infamità” e che ”tutte le sue dichiarazioni sono tutte tragedie per ottenere i benefici che gli danno”, riferendosi a quelli previsti per i collaboratori di giustizia. Lui non ha mai ceduto, invece, negando nei processi anche le evidenze e chiedendo di essere messo a confronto proprio col fratello che lo accusava. Ed è così che ha trascorso quasi i due terzi della sua esistenza dietro le sbarre, dove anni fa si era persino sposato. Ed è lì che una decina di giorni fa è deceduto.