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di Ciro Cuozzo

Il Riformista, 12 gennaio 2023

Era una larva umana, aveva piaghe su tutto il corpo. Era semicieco, diabetico e non sentiva bene. Aveva ben 17 patologie ma nonostante questo è rimasto in carcere fino a dieci mesi fa. Poi il passaggio ai domiciliari e gli acciacchi di salute che, giorno dopo giorno, sono degenerati fino all’epilogo della scorsa notte quando Carmine Montescuro, 88 anni compiuti lo scorso 5 luglio, è morto nella sua abitazione nella zona di Sant’Erasmo a Napoli.

Per la procura era considerato un pericoloso boss di camorra, capace, nonostante l’età e le numerose patologie, di far valere ancora la propria influenza e soprattutto il ruolo da paciere tra gli altri clan della città. Montescuro, detto Zi Minuzzo, i suoi ultimi mesi di vita li ha trascorsi invece tra casa e ospedale, assistito dai medici e dai suoi familiari. Lo scorso febbraio 2022 era stato scarcerato, grazie anche a una campagna mediatica portata avanti dal Riformista, con i giudici del Tribunale di Sorveglianza che accolsero finalmente l’istanza presentata dai suoi legali.

Era detenuto nel carcere di Secondigliano, dove era stato rinchiuso in piena emergenza Covid, nell’autunno del 2020 quando aveva poco più di 86 anni. Nemmeno la scomparsa della moglie, avvenuta poche settimane prima della scarcerazione, gli aveva fatto ottenere un permesso speciale per l’ultimo saluto.

Arrestato insieme ad altre 22 persone il 24 ottobre del 2019, nell’ambito di un blitz della Squadra Mobile di Napoli nella zona di Sant’Erasmo, Zi Minuzzo era stato traferito ai domiciliari dopo tre settimane di carcere a causa delle condizioni di salute precarie. Era considerato dagli investigatori personaggio di notevole carisma criminale che oltre a svolgere, da decenni, il ruolo di mediatore nelle controversie insorte tra le diverse organizzazioni di camorra (clan Mazzarella, clan Rinaldi, clan Cuccaro-Aprea), dirigeva anche un proprio gruppo autonomo che agisce seguendo gli schemi comuni delle organizzazioni mafiose, imponendosi sul territorio e controllandone tutte le attività illecite.

In tal modo “Zi Minuzzo” era riuscito a mantenere gli equilibri tra le varie associazioni, evitando il sorgere di conflitti, e garantendo, al contempo, il regolare svolgimento delle attività estorsive e la partecipazione di tutti ai profitti illeciti, tanto che alcuni collaboratori di giustizia, in virtù della posizione neutrale assunta, hanno indicato Sant’Erasmo -luogo di operatività del clan Montescuro - come una “piccola Svizzera”.

Nei mesi scorsi il processo di primo grado si era concluso con una condanna a 19 anni di reclusione per Montescuro. “Se si riconosce a Montescuro Carmine il ruolo di sindaco della Camorra, si ammette implicitamente la difficoltà concreta che negli anni hanno avuto gli inquirenti ad incastrarlo, fino ad inventarsi che fosse a capo di un clan autonomo che portasse il suo cognome” hanno spiegato dopo la sentenza i suoi avvocati Giuseppe Milazzo e Immacolata Romano davanti alla 3 sezione collegio C del Tribunale di Napoli. In questi giorni infatti avrebbero dovuto depositare l’atto di appello avverso la sentenza che ha sancito l’esistenza del gruppo di Sant’Erasmo e ha condannato il defunto Montescuro a 19 anni.

Un boss che ha ispirato pure un personaggio della serie di Gomorra e che era solito frequentare l’isola d’Ischia durante l’estate. Amico del re della sceneggiata Mario Merola, con cui condivideva, nei decenni passati, la ‘passione’ per il gioco d’azzardo, Montescuro ha sempre tenuto a distanza, negli anni della malavita (caratterizzata soprattutto usura ed estorsioni), l’attenzione delle forze dell’ordine. Amava mantenere un profilo basso, ritagliandosi nel tempo il ruolo da mediatore riconosciuto da diverse cosche partenopee, dai Sarno ai Mazzarella, passando per alcuni clan satelliti dell’Alleanza di Secondigliano.

Il ‘pericoloso’ boss della camorra napoletana era affetto, così come riscontrato dalla direzione sanitaria del carcere di Secondigliano, da cardiopatia ischemica cronica, pregresso impianto di Pacemaker, versamenti pericardico in follow-up, sindrome metabolica (diabete mellito tipo II in trattamento con ipoglicemizzanti orali, ipertensione arteriosa, dislipidemia, iperuricemia, aneurisma dell’aorta toraco-addominale in follow up; aneurisma dell’aorta addominale in follow up; aterosclerosi carotidea e polidistrettuale; Broncopneumopatia cronica ostruttiva; ipertrofia prostatica benigna; insufficienza Renale Cronica; cisti renali, incontinenza urinaria, diverticolosi del colon, ipovedente, ipostenia arti inferiori con deambulazione di sedia a rotelle, psoriasi diffusa, ipoacusia bilaterale. Aveva bisogno di un piantone, ovvero un altro detenuto che veniva pagato per assisterlo. Ma nonostante questo, per oltre due anni è rimasto rinchiuso in carcere raggiungendo il triste primato di detenuto più anziano, e probabilmente malato, d’Italia.