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di Laura Aldorisio

Corriere del Mezzogiorno, 16 maggio 2023

Avviato nel carcere minorile napoletano un laboratorio per insegnare un mestiere Nisida lascia senza fiato. Per la vastità del mare, che custodisce l’isola di fronte a Napoli e si svela quanto più si sale, e per i punti interrogativi che incombono, all’aprirsi dei cancelli del carcere minorile che lì ha residenza. Proprio lì, dove ci si aspetterebbe che il tempo sia perduto, i ragazzi possono invece accettare la sfida di una seconda possibilità.

Dietro le porte serrate molti di loro sono indaffarati in laboratori di varia natura. Le loro mani, ora, sono sporche di farina, colore e stucco. Imparano a sfornare la pizza, a restaurare parti del carcere, a dare forma alla ceramica. E, da poco tempo, a preparare e servire il caffè. È il nuovo laboratorio che grazie a Consvip srl ha trovato spazio dentro le mura dell’istituto. Mario Simonetti, padre del caffè Toraldo, ha accettato di buon grado la sfida: “L’imprenditore non ragiona solo con la tasca, ma anche con il cuore. Se si può fare qualcosa, io ci sono. Vorrei creare una scuola, non solo per chi è detenuto ma anche in chiave preventiva, perché i ragazzi abbiano un’istruzione pratica. I giovani hanno una marcia in più, imparano prima e meglio di noi”.

Un ragazzo di Nisida, che ora sa gestire la macchina da caffè professionale, si è lasciato coinvolgere a tal punto da chiedere di servire gli altri detenuti a colazione, scaldare il latte, apparecchiare e sparecchiare. “Vuoi fare il barista da grande?” e la risposta spiazza: “Io ora non penso al futuro”. Il direttore dell’istituto, Gianluca Guida, aiuta a decifrarne il significato: “Viviamo il qui e l’ora, non il futurò, perché il lavoro non è solo il mestiere che imparano durante i laboratori, ma è entrare in relazione con la loro parte migliore e non più rispondere alle attese di altri. Possono guardarsi dentro: questo è il loro tempo”.

Chi ha già imparato a fare il caffè racconta i tentativi fatti: ora sa che otto grammi di polvere corrispondono a una tazzina e che “se imparo qualcosa che mi piace, imparo di più”. Una dinamica che si sente raccontare anche nei laboratori di statuette del presepe, di pasticceria e lavorazione della pelle. C’è fermento, ma questo non rende tutto semplice: “Ci sono giornate in cui non mi voglio alzare dal letto e altre in cui sono curioso. Si può sempre scegliere”, dice uno di loro, con una maturità segnata che va al di là dei suoi 17 anni. La pena è certa, per molti è grave e lunga, ma nelle turbolenze quotidiane la maggior parte dei ragazzi vive e cerca la relazione con gli educatori, i professori come un porto sicuro, da cui allontanarsi e a cui tornare. “Le sbarre ci sono evidentemente”, continua il direttore, “eppure cerchiamo di dare un respiro”. Negli spazi restaurati dai ragazzi stessi, non lontano dal laboratorio teatrale dove Eduardo De Filippo insegnava recitazione, c’è una mostra: un’artista napoletana ha indagato il tema della profondità e ha fotografato l’iride degli occhi di alcuni ragazzi. Loro hanno reagito alle immagini: “Chiure ll’uocchie e veco o scuro”; “Vivo più nella mia testa che nel mio cuore”; “Avere un impiego e lasciare il passato”. Uno degli educatori rilegge le frasi e dice “sono ragazzi come tutti, con la loro storia sulle spalle”. Ma persiste la possibilità di scorgere un nuovo orizzonte.