sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Antonio Mattone

Il Mattino, 17 ottobre 2023

Il carcere è, nell’accezione comune, unicamente il luogo dove relegare coloro che commettono crimini per evitare che possano nuocere ancora. Chi come me frequenta questo mondo, spesso sente porre una domanda: “esiste un carcere che dopo un percorso di revisione personale riesca a strappare i giovani alle maglie della criminalità e possa così restituire alla società persone libere e responsabili?” La risposta è quasi sempre caratterizzata da una vena di rassegnazione e pessimismo, soprattutto dopo i fatti gravi accaduti a Napoli nei mesi scorsi. Nel momento in cui si invocano pene esemplari fino all’ergastolo anche per i giovanissimi, non sembra che ci possa essere spazio per nessuna possibilità di recupero, anche se un domani dovessero maturare significativi segni di ravvedimento.

Il protocollo d’intesa siglato ieri tra il Parco archeologico di Pompei, il Tribunale di sorveglianza di Napoli, il carcere di Poggioreale e il Garante regionale delle persone private della libertà personale, con cui si prevede di occupare alcuni detenuti, appare invece come un segnale in controtendenza.

Attraverso lavori socialmente utili i beneficiari di questo progetto si occuperanno della pulizia del sito archeologico, della manutenzione delle insulae, di giardinaggio fino alla raccolta dell’uva nei vigneti ubicati all’interno del Parco.

In questo modo per quasi tutta la giornata potranno essere a contatto con un mondo diverso da quello solito con cui si confrontano all’interno delle celle. E soprattutto, potranno acquisire quelle competenze che torneranno utili una volta espiata la pena.

Accanto alla formazione necessaria, mi sembra ancor più importante la presa in carico dei detenuti che li orienti nel percorso di revisione personale, nel sostenere la motivazione al cambiamento, nel comprendere la situazione familiare che tante volte si rivela piena di tensioni e complessità. Insomma si tratta di accompagnare in modo fattivo ed efficace chi ha percorso strade illegali, ma adesso vuole mettersi in gioco sfruttando questa opportunità.

Nell’esperienza maturata all’interno delle carceri ho compreso come la motivazione personale valga di più dell’avere un’occupazione. Il lavoro è una condizione necessaria ma non sufficiente per evitare la recidiva. Ho visto persone che una volta uscite, pur avendo un’attività che gli dava da mangiare, sono tornate in carcere. Viceversa c’è stato chi, pur non passandosela bene, è riuscito a resistere e a superare momenti difficili, mantenendo fermo il proposito di non tornare più dietro le sbarre.

Dobbiamo ammettere però che abbiamo visto troppi fallimenti di iniziative lanciate in pompa magna, che poi si sono dissolte come neve al sole. Ho conosciuto detenuti che pur facendo bellissime esperienze si sono poi persi proprio durante questi percorsi d’eccellenza. E poi la formazione il più delle volte resta fine a se stessa e non produce nessun risultato per i destinatari.

Per accompagnare un processo di cambiamento, fondamentale è il rapporto tra mondo esterno al carcere e gli operatori penitenziari, soprattutto se questi ultimi abbandonano quell’atteggiamento di autoreferenzialità che di tanto in tanto caratterizza la loro azione. La collaborazione può creare sinergie inaspettate. Dopotutto, iniziative come quella di Pompei, nascono dalla sensibilità di persone propositive come Gabriel Zuchtriegel. Il direttore del Parco archeologico di Pompei, che ha già realizzato altri progetti per la valorizzazione sociale del sito, come gli orti sociali con cui ha avvicinato al lavoro e al patrimonio culturale dei ragazzi con problemi di autismo, è un esempio dell’apporto proficuo della società civile. Altre proposte si possono moltiplicare e in parte già sono avviate anche in altri penitenziari della Campania.

Nonostante le tante criticità del carcere non ci si può rassegnare al pessimismo. Lo sappiamo, i problemi sono tanti e sempre gli stessi: il sovraffollamento, i suicidi, la carenza cronica di personale, la difficoltà di curarsi e potremo continuare. Ci sarebbe bisogno di un carcere diverso, perché non è la galera dura e disumana a suscitare il desiderio di cambiare vita. A noi resta la responsabilità di non arrenderci e di essere quel tramite che faciliti percorsi di inclusione e di riscatto.

Mi vengono alla mente i tanti ragazzi che con fatica e sacrifici, ma con grande dignità, hanno ripreso a vivere in modo onesto, dimostrando che cambiare è possibile. Anche in un tempo difficile come questo.