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di Antonio Mattone

Il Mattino, 6 settembre 2023

Potrà mai cambiare Napoli mentre ruba la vita ai giovani che non hanno nulla che fare con la malavita, come Giogiò? Sarà possibile rigenerare le periferie degradate, quelle dell’orrore dell’infanzia violata? Dobbiamo innanzitutto riscontrare che gli episodi di violenza coinvolgono sempre di più i minori.

Si è abbassata l’età di coloro che sono i protagonisti sulla scena del crimine. Vittime e carnefici. E sono aumentate le risse soprattutto nelle notti maledette della movida napoletana. Le pagine di cronaca di questi mesi sono piene di aggressioni verso ragazzi che restano sfregiati nel corpo e nell’anima per uno sguardo di troppo, per aver urtato un piede o un motorino, in ogni caso per motivi davvero insignificanti.

Sempre più spesso gli autori dei crimini vengono individuati con più facilità, grazie al sistema diffuso di videosorveglianza. Tuttavia, colpisce che questo non scoraggia affatto, come se si fosse salvaguardati da una sorta di onnipotenza che potesse garantire impunità. E poi quando succede l’irreparabile, si è subito pronti a minimizzare, fino a dire che non ci si rende conto di premere il grilletto su un ragazzo inerme, come è successo contro il giovane musicista.

Un atteggiamento superficiale che è rivelatore di un distacco dalla realtà, ma anche della crisi del senso comune di umanità di giovani che trovano la loro identità nella pratica aggressiva. “Sparo dunque sono”, sembrano dire con i loro comportamenti feroci. E’ come se nella loro testa ci fosse un conflitto mentale latente che può scoppiare casualmente. Una scintilla che riesce a generare un cortocircuito omicida. Un malessere che ha tante sfaccettature e radici complesse e che parte dall’aria che si respira nell’ambiente familiare e nel contesto sociale che si frequenta, dove un percorso di devianza comincia per lo più dall’abbandono scolastico.

La scuola è vista come un’inutile perdita di tempo perché non se ne percepisce nessun interesse né una convenienza sociale o economica. C’è un grande problema educativo, ma anche di senso di irrilevanza da combattere e d’identità da trasmettere. Questi adolescenti, un po’ narcisisti e un po’ abbandonati a sé stessi, che hanno riferimenti solo col mondo criminale degli adulti, cercano di uscire dall’anonimato e dalla rabbia in cui sono cresciuti affermandosi con la violenza. Con i social che fanno da palcoscenico e certe fiction che forniscono modelli poco edificanti e in ogni caso lontani dalla vita di tutti i giorni.

Alcune settimane fa, nel carcere di Poggioreale, un giovanissimo finito per la prima volta in galera, con fare arrogante ha chiesto agli altri carcerati dove tenessero il cellulare. Alla risposta negativa ha reagito infilando due dita negli occhi di un ignaro compagno di cella.

Come ha scritto il direttore de Core sulle pagine di questo giornale, servirebbe un esercito di educatori, scuole e palestre. Ma anche programmi per contrastare la dispersione scolastica. Oggi siamo in grado di sapere quali sono i ragazzi inadempienti, ma mancano progetti strutturati di recupero. E mancano i fondi per realizzarli.

Cambiare questa realtà è un processo di lunghissimo periodo, ammesso che ci sia qualcuno che veramente voglia farlo. Un disegno che richiederebbe tante risorse ma soprattutto una visione, strategie da condividere con senso di responsabilità e collaborazione istituzionale. I politici sono diventati come i capponi di Renzo, di manzoniana memoria. In questi giorni abbiamo assistito a dichiarazioni altisonanti e scandalizzate, ma possibile che solo ora si accorgono delle case popolari occupate e gestite dai clan camorristici? Possibile che le continue denunce di don Maurizio Patriciello sul degrado del Parco Verde siano state voce di uno che grida nel deserto?

Possibile che non si vedano le occupazioni di intere strade vicine anche a siti istituzionali come Questura e Regione dove la camorra lucra affari da milioni di euro con i parcheggiatori abusivi senza che nessuno muova un dito? Quella che appare visibile è la faccia della malavita piuttosto di quella dello Stato. La buona volontà della politica non si misura sulle dichiarazioni ma sui fatti. Solo dando risposte concrete, si potrà cambiare questa terra, e onorare la memoria di Giovanbattista, di Francesco Pio e di tutti gli altri a cui non abbiamo saputo offrire il futuro che sognavano.