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di Marianna Aprile

oggi.it, 13 ottobre 2023

L’istituto che ha ispirato quello di Mare fuori è a Napoli, su un’isola, e da 27 anni a dirigerlo c’è Gianluca Guida: “Non c’è un’emergenza criminalità minorile. Non servono pene più severe, ma alternative al loro bisogno di affermarsi con la violenza. Partendo dall’asilo”.

Poco lontano da qui, c’è Mare fuori. O meglio, il finto carcere in cui si gira la fiction Rai che racconta la criminalità minorile. Il carcere vero (il nome giusto è Ipm, Istituto penale minorile), che ha ispirato la serie, è a Nisida, isola flegrea che affaccia su Procida, Ischia, Capri, sul profilo del Vesuvio che fa capolino dietro Posillipo.

Direttore a 29 anni da 27 anni - Da 27 anni, l’Ipm di Nisida è diretto da Gianluca Guida che, dopo un’esperienza di volontariato nella periferia di Napoli e una laurea in Legge, vince un bando per l’amministrazione penitenziaria, scontentando i suoi genitori, presidi, che in carcere non ce lo volevano neanche da direttore. Arriva sull’isola a 29 anni: “Era il 1996, ero inesperto. Il personale mi chiamava ‘ominorenne, ma insieme siamo riusciti a fare di questo un posto che avesse senso, per i ragazzi e la comunità”. Nisida era appena stata bocciata da un’ispezione del Comitato per le torture. Guida e i suoi aumentano il tempo dei ragazzi fuori dalle celle e le attività per aiutarli a prendere coscienza di sé, a volersi bene nonostante il male, subìto e praticato. Il carcere si apre alla città: spettacoli teatrali, laboratori, centro polifunzionale per prevenzione del crimine minorile, incontri con studenti, dalle elementari all’università. Tre anni dopo il Comitato certifica Nisida come un modello.

La bellezza per salvarli - Luoghi tristi in contesti punitivi. Le carceri le si immagina così. Nisida affaccia invece sul Golfo più bello del mondo: “Alcuni dei ragazzi il mare lo vedono qui per la prima volta e questa bellezza è parte del trattamento: sono loro a prendersene cura, perché qui lavoriamo “con” i ragazzi non “sui” ragazzi, perché il tempo passato qui non sia perso, per chi ha già perduto infanzia e adolescenza”.

In Italia ci sono 17 Ipm. Al momento Nisida, che ha 50 posti, ospita 56 ragazzi ma ha avuto picchi anche di 62. Il numero cambia di continuo e capita, girando col direttore, che l’assistente capo della Polizia penitenziaria Antonio Paciello lo fermi per decidere spostamenti per far spazio ai nuovi arrivi (anche da fuori regione). “I luoghi da cui arrivano sono sempre gli stessi: quartieri patogeni che nonostante isole virtuose non riescono a sviluppare anticorpi, un tessuto sociale che rigetti la criminalità”.

Il turnover nelle carceri - La media della permanenza qui è di 3 anni e per la legge possono restarci fino ai 25 d’età. Alcuni hanno condanne anche di 16-18 anni. Sono solo ragazzi, la sezione femminile non c’è più: “La devianza femminile è un fenomeno limitato. In Italia sono rimasti una sezione femminile a Roma e un istituto solo per ragazze a Pontremoli”.

Quando Guida è arrivato, Nisida non era così piena di murales, panchine colorate, disegni realizzati con le mattonelle, come quello con i nomi delle 960 vittime della criminalità organizzata censite da Libera: “Sono cose realizzare dai ragazzi perché potessero “fare proprio” questo posto”. Nel parco, panchine realizzate nel laboratorio di ceramica riportano i nomi dei 70 autori che hanno scritto di o per Nisida, da Cicerone a Maurizio de Giovanni. Lungo il sentiero che va dalla cima al mare, steli con stralci degli scritti realizzati nei laboratori di auto narrazione, guidata da scrittori come Valeria Parrella, Viola Ardone, de Giovanni. A non avere le sbarre è solo la scuola, ma sui vetri un cartello invita a tener chiuse le finestre. È per i pavoni. Sono 5, mamma, papà e tre piccoli che scorrazzano liberi in questo luogo di reclusione e fanno di tutto per infilarsi in questi 9 padiglioni fatti costruire nel 1934. La scuola affaccia su un campetto sportivo fatto costruire da Eduardo De Filippo, cui si deve anche il teatro, al momento inagibile, in attesa di restauri importanti e costosi.

In cucina, c’è un Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Don Peppino, al secolo Giuseppe Lavalle, 80 anni, premiato dal Presidente Mattarella per i suoi 45 anni nella cucina di Nisida, un po’ nonno, un po’maestro. Da 12 anni, ad aiutarlo c’è Carla Ruggero: i ragazzi la chiamano “zia”.

Un percorso per gradi - Se non fosse per le sbarre, sembrerebbe un plesso scolastico: tranne se in punizione per qualche intemperanza, i ragazzi gironzolano, fanno sport, capannelli e fermano il direttore per chiedere, commentare, fare battute. Pare di andare in giro col preside. “La detenzione qui si snoda per step in cui autonomia e libertà di movimento dei ragazzi aumentano per gradi. Appena entrano, stanno in reparto per 10-12 giorni, con spazi di libertà e attività limitati. È un tempo che serve a noi per conoscerli e a loro per tranquillizzarsi: spesso arrivano qui molto ostili. Una volta ambientati, sono inseriti nel gruppo e accedono a scuola, laboratori e attività”.

Quindi accedono al “trattamento avanzato”, in cui si muovono tra lavoro, sport e attività, dalle 8 del mattino alla cena. “Poi c’è una fase di pre-uscita, in un edificio separato, sull’isola ma fuori dalle mura di cinta, e con un rapporto col personale carcerario che non è più guardia-detenuto ma adulto-ragazzo”.

Non c’è nessuna emergenza - Guida dirige anche il Centro Studi europeo sulla devianza e la criminalità minorile, con sede sull’isola. “La criminalità minorile cambia di continuo. Gli ultimi anni sono segnati da una violenza irrazionale, immotivata, spesso non riconosciuta. Come fosse ordinaria. La loro rabbia è figlia di una marginalità esasperata, si sentono scartati, rivendicano un ruolo ma non avendo gli strumenti mettono in campo un’affermazione violenta di sé. È una forma deviante di ricerca della felicità: l’adesione alla cultura criminale nasce dal bisogno di riconoscimento”. In questo momento, la maggior parte dei ragazzi sono reclusi per tentato omicidio, omicidio, lesioni gravi, violenza.

Ma c’è davvero una emergenza criminalità minorile, come dopo i fatti di Caivano si è sostenuto? “La comunità risponde ai crimini commessi da minorenni con la chiusura. Ma la giustizia minorile funziona; in Italia i numeri sono sotto la media europea, non sono elevati né in crescita: ci sono circa 20 mila denunce l’anno, meno del 5% arriva a misure cautelari”. Quanto all’inasprimento delle pene, Guida non ha esitazioni: “L’approccio deve essere razionale, non emotivo. Le pene più severe non sono un deterrente per chi col carcere ha consuetudine familiare.

Non hanno paura di morire - Questi ragazzi non temono di morire, figurarsi del carcere. Non hanno visione del futuro, neanche nella prospettiva della carriera criminale”. Ma se le pene no, cosa? “Una strategia. Chi arriva qui non ha avuto un’infanzia, a stento legge e scrive, molti non hanno la licenza media, anche per inefficienze della scuola. Un esempio: l’Associazione italiana dislessia ha fatto sui ragazzi di Nisida due screening a distanza di 10 anni l’uno dall’altro e ha rilevato lo stesso dato: più del 70% aveva disturbi dell’apprendimento come dislessia, disgrafia, disortografia mai diagnosticati. È un dato che racconta come verso i loro problemi scolastici non ci sia stata l’attenzione che avrebbe forse potuto evitare loro di sentirsi e diventare emarginati.

Si deve partire dalla scuola, dagli asili nido - Se si vuole arginare la devianza minorile è sulla prima infanzia che bisogna investire, sugli asili nido, dandosi 20 anni di tempo”. Avesse una bacchetta magica? “Costruirei asili nido: sono i luoghi in cui la comunità si fa carico dei bambini, dando un’alternativa rispetto al contesto familiare”.