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di Augusto Conte

Il Dubbio, 28 dicembre 2023

Il condannato non può essere sottoposto a pene degradanti, non potendo lo Stato usare gli stessi metodi violenti ponendosi sullo stesso piano degli autori dei delitti più atroci. La “legalità” è una condizione e un attributo dello spirito dell’uomo, e una disposizione della coscienza di tutti gli uomini, enunciabili con comportamenti, atteggiamenti e parole, fondati sulla conoscenza di principi ed etica universali, concretizzati in regole negli Ordinamenti Giuridici, che devono essere intese, acquisite e fatte proprie dalla collettività, con l’apprendimento di modelli virtuosi e con insegnamenti appropriati.

La persona, che dismette il senso dell’“umano”, mettendo in crisi il consorzio sociale, l’assetto della convivenza civile e lo stesso Ordinamento, retroagendo allo stato primordiale, non può far regredire, nello stesso stato, di homo hominis lupus, l’intera cittadinanza, che esprime reazioni emotive.

Per la conservazione dell’Ordinamento giuridico dello Stato di diritto, fondamentale è l’amministrazione della giustizia, cui è connesso ontologicamente il diritto/dovere di difesa, universalmente riconosciuto, concretamente e positivamente realizzato nella Costituzione repubblicana, che prevede lo svolgimento di un processo giusto.

Il giusto processo, in attuazione della giustizia, è quello realizzato rispettando l’esercizio della difesa, assicurato dalla presenza dell’avvocato nel processo, di fiducia o di ufficio, a pena di inutilizzabilità o nullità degli atti, come confermato, ove ce ne fosse bisogno, dalla Corte Costituzionale nel 1979 che ha dichiarato imprescindibile e irrinunciabile la difesa, comunque esercitata, della quale volevano liberarsi le Brigate Rosse, favorendo l’omicidio del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, ucciso alla soglia di ottanta anni. Il profondo e inestinguibile dolore delle famiglie delle donne vittime di violenza è condiviso da tutti i cittadini e in particolare quello arrecato a Giulia e alla sua famiglia, per la giovane età della laureanda, per la tenerezza dei sentimenti che rivelano le sue parole e che trasmette con la finezza del volto e perchè la vicenda che l’ha vista vittima non è “catalogabile”, non è paragonabile ai delitti, pur efferati, commessi in questo ultimo anno e non solo, ha comportato reazioni impulsive.

Normalmente, se si può parlare di normalità, i “femminicidi” avvengono quando un legame è logorato, per tradimento o altre grave fatto (non può usarsi il termine “ragione”); il rapporto tra Giulia e Filippo stava nascendo con un inizio inquieto, che dava segni di non essere duraturo; la fine della relazione, a quel che appare, è stata vissuta con disperata immaturità e allucinazione, mancanza di autocontrollo, non avendo il giovane percepito e accettato la realtà dell’abbandono.

Diversi significati si possono trarre dalla atroce vicenda occorrendo una riflessione che va oltre le leggi in materia di tutela delle vittime della violenza di genere: la collettività esige una cultura di sensibilità al rispetto non solo delle donne e una consapevolezza di essere presenti a sé stessi e della responsabilità delle proprie azioni che ci pongono in relazioni agli altri; ed esige anche un senso scrupoloso del diritto.

La giurisdizione è riservata alla Magistratura e la difesa alla Avvocatura (unica professione prevista dalla Costituzione): mentre è possibile criticare le decisioni pronunciate dai giudici e le difese messe in atto dagli avvocati, non è possibile, specialmente da chi le leggi le compone, “suggerire” ai giudici i provvedimenti da adottare, e vietare agli avvocati di assumere tutte le difese utili all’assistito (ivi comprese, ove ne ricorrano i presupposti, l’istanza per accertare la imputabilità dell’imputato), in adempimento al rapporto fiduciario assunto e alla doppia fedeltà al cliente e all’Ordinamento giuridico.

Il condannato non può essere sottoposto a pene degradanti, non potendo lo Stato (e pretendere i singoli cittadini) di usare gli stessi metodi violenti e disumani, ponendosi, come carnefice, sullo stesso piano degli autori di delitti; come è previsto nella Costituzione Italiana “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; non risponde a a comportamenti legali e a coscienza, anche di fronte a delitti efferati che sconvolgono il consorzio sociale, in adempimento dell’art. 54 della Costituzione che fa obbligo a tutti i cittadini di osservare le leggi, invocare la impiccagione sulla pubblica piazza dell’imputato (e dopo la condanna, del condannato), o consegnare l’imputato alla famiglia, che con compostezza e senso di responsabilità rifiuta il suggerimento, per esercitare vendetta privata e per farne scempio, tornando alla vendetta privata primordiale.

La società esige una educazione preventiva alla legalità e al rispetto coscienzioso e responsabile degli altri, da adottare nelle famiglie e nelle scuole e in ogni luogo in cui si uniscono, specialmente le giovani generazioni: ultimamente sono entrate in vigore le norme che dispongono la “mediazione penale”, che non consiste in una legislazione “premiale”, ma rafforza il criterio di ristabilimento della legalità successiva al delitto, e che ha la finalità di comporre la riconnessione del tessuto sociale turbato e compromesso da azioni delittuose.