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di Domenico Quirico

La Stampa, 3 luglio 2023

I popoli del Sud globale guardano attoniti la nazione dei diritti umani, l’uguaglianza e lo Stato sociale. Parigi si è trasformata da una meta per il riscatto, a un posto torbido, diviso, che sdegna e isola gli ultimi. Vi sono luoghi che appartengono solo alla geografia, a scoloriti ricordi scolastici, o peggio ai pieghevoli delle agenzie di viaggio.

Altri invece sono densi di una perenne valenza simbolica, sono concrete luci nelle tenebre del Tempo, luoghi che immaginiamo abitati da sempre da uomini severi e coraggiosi che ci aiutano a marciare avanti. Luoghi, nazioni che evocano il meglio anche di ognuno di noi, la lotta per il Progresso, la Rivoluzione contro il privilegio, i Diritti come sacra proprietà di ogni singolo uomo, la Cultura come ricchezza comune. Luoghi destinati ad essere una esperienza interiore, qualcosa che accade dentro di noi ogni volta che li si evoca e che abbiamo aggiunto al patrimonio dei miti. Uno di questi luoghi è la Francia. La sua Grandezza, già. Anzi: una certa idea della Francia che, nonostante tutto, resta viva tra i popoli.

Certo. Lo so. Tutto questo è innumerevoli volte fallito, come tutto prima o poi sempre fallisce. Ma da questi fallimenti si compone gradualmente la trama di una Storia che sfugge agli sguardi dell’uomo effimero e che dobbiamo tessere e ritessere per procedere avanti. Semplifico: partono le note della Marsigliese che a legger bene le strofe è una forsennata marcia bellicista. Eppure. Si apre una porta. Si avanza a occhi chiusi.

Ebbene si guarda la Francia di questi giorni, la Francia della rivolta delle periferie, un Paese torbido e diviso, con i saccheggi e gli incendi, centinaia di arresti, le strade percorse da unità speciali di poliziotti che evocano le strade di autocrazie alle prese con intifade manesche, e quella idea della Francia ci sguscia di mano. Mi chiedo se l’incantesimo non ha perso il suo potere, quello di diventare vivo allo sguardo come un corpo umano.

Raccolgo lo sconcerto indispettito di alcuni degli abitanti di quello che oggi definiamo con un certo spaventato fastidio “il sud globale”. Sarebbe questo il Paese della Grande Rivoluzione - mi chiedono - che uccide ai posti di blocco e insegue a randellate i suoi veri proletari, che sono gli ex immigrati diventati cittadini ma ammucchiati nelle banlieue e nelle camere ammobiliate, ignorati e disdegnati come un tempo avveniva per i coloni di Oltremare?

Se in politica esistere è agire, allora assistiamo al tramonto di una idea. Attenzione: non è soltanto un problema francese. Con essa declina anche la credibilità dell’Europa intera che di quella storia è filiazione e sviluppo e che appare sempre più concretamente una società avvolta come da una alga di meschine associazioni di interesse. Soprattutto in questi tempi di guerra è qualcosa di cui possono giovarsi solo coloro che si stanno schierando al di là della nuova cortina di ferro.

Si svela, ancora volta una Francia di cittadinanze sconnesse e divise, dove la risposta del sussiegoso europeista Macron è militarizzare le città o tirar fuori dal cassetto una pericolosa bugia, l’esser questo subbuglio il frutto delle trame insurrezionale dei forsennati dell’islam estremista che congiurano nelle moschee di banlieue. Che non abbozza neppure un timido mea culpa.

Vediamo emergere il lato peggiore della politica francese, voler essere, con un macchiavellismo degli imbecilli, nobili e insieme furbi, restare gli eredi della Luce e insieme agire come i maliziosi figli delle tenebre. Emerge, purtroppo, quella profonda compiacenza, quel gusto che la Francia ha talora di sé medesima, quel rifiuto di modificarsi che diventa irritazione se si sente compromessa. È amaro constatare che i capi della sinistra francese, vera o presunta, ancora una volta hanno in comune solo l’impotenza, ovvero sono tutti egualmente tributari della stessa politica della destra che detestano a parole ma sono costretti a servire.

Quante volte abbiamo dovuto rassegnarci, con la Francia, alla ammissione che l’amicizia spesso non sta nelle parole ma nei silenzi: le ipocrisie verso i migranti, ad esempio, la giungla di Calais e la frontiera di Ventimiglia, o le coloniali maniere con cui fino ad oggi si è cercato, con poco esito, di accudire alle sabbie mobili della Françafrique. Le idee sul problema delle periferie e sui loro abitanti sono state logorate dall’uso illecito, svuotate dalle falsità di chi se ne è servito. Le banlieue restano solo un problema, forse insolubile, di ordine pubblico, gente da tenere a bada o popolo ignoto. O peggio: che non interessa, che si allontana sempre più in abitudini e soprattutto in rancori diversi. Persino la estrema sinistra non lo considera interessante come “massa rivoluzionaria”. Accudisce solo le plebi francesi della crisi.

Eppure, nella attesa febbrile di una società diversa e più umana era il ruolo storico della Francia, se volete dal 1789. Dove si è persa questo attesa esaltante? Forse nel declino economico e politico, nell’appassirsi di una cultura che era universale e oggi è sociologia claudicante; e nelle rigatterie di una politica di meschino cabotaggio. Ma se la “fraternité” appare a Parigi più chimerica della luna di Ariosto che resta della Francia?