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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 10 marzo 2023

Nelle carceri italiane siamo tornati ai tempi del pre-Covid, soprattutto per quanto riguarda i colloqui telefonici. I detenuti potranno infatti chiamare i familiari per soli dieci minuti e una sola volta a settimana. Non solo la fine delle misure deflattive. Da qualche tempo, nelle carceri italiane, si è ritornato al periodo pre-Covid anche per quanto riguarda i colloqui telefonici. Se durante la pandemia i detenuti hanno avuto la possibilità di effettuare chiamate giornaliere con i propri famigliari, ora si è ritornati al colloquio telefonico alla settimana, della durata massima di dieci minuti. Qualcuno sta già protestando, e si tratta dei detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo che si dicono pronti ad intraprendere uno sciopero della fame se non dovessero essere ripristinati i colloqui giornalieri.

Hanno reiterato la loro richiesta dopo la prima istanza presentata da 800 detenuti alla quale non è stato dato seguito. Il 6 gennaio scorso, infatti, era stata inviata al garante della regione Sicilia Giovanni Fiandaca dall’avvocato Vito Daniele Cimiotta. La richiesta, otto pagine scritte a penna dal palermitano Ludovico Collo - che è il primo firmatario - ha l’obiettivo di mantenere delle regole introdotte nel periodo pandemico relative ai contatti telefonici tra i detenuti e i propri familiari, e anche con gli avvocati difensori. “Da quel che ho compreso - ha commentato il garante Fiandaca nella sua nota inviata al legale - in linea tendenziale si è favorevoli a consentire un numero di telefonate maggiore di quello regolamentare. Ma - ha aggiunto il garante - non si potrà perpetuare il regime eccezionale delle telefonate giornaliere, una volta che occorre ritornare a un regime di normalità. Non è escluso che in proposito saranno date indicazioni anche da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap)” Ma nulla è cambiato, per questo hanno reiterato l’istanza. L’avvocato Vito Cimiotta, ha annunciato che i detenuti sono pronti a una forma di protesta pacifica, non alimentandosi e non comprando i beni alimentari del sopravvitto, se la richiesta non dovesse essere accolta. Ma il problema è generale e riguarda tutti i detenuti d’Italia. Ricordiamo che l’articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (la cosiddetta legge penitenziaria) stabilisce che “particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare, o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”. E a tal fine, numerose disposizioni dell’ordinamento penitenziario valorizzano i colloqui visivi e la corrispondenza telefonica, quale strumento per l’esercizio del diritto delle persone detenute al mantenimento delle relazioni con i propri congiunti.

E’ il caso dell’articolo 18, comma 4, che riconosce “particolare favore (...) ai colloqui con i familiari”, degli articoli 1, comma 6, e 15 dell’ordinamento penitenziario, i quali collocano i contatti con l’ambiente esterno nell’ambito del trattamento rieducativo, attribuendo ad essi rilevanza anche ai fini dell’attività di recupero e risocializzazione delle persone condannate, che costituisce l’obiettivo costituzionale della pena; dell’articolo 73, comma 3, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), che contempla il mantenimento del diritto ai colloqui con i familiari anche in caso di sottoposizione della persona detenuta alla sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune. Coerentemente con questa impostazione, persino alle persone sottoposte al regime differenziato disciplinato dall’articolo 41- bis, comma 2- quater, lett. b), Ordinamento penitenziario viene riconosciuto il diritto al colloquio visivo e la possibilità di accedere alle telefonate, pur con talune previsioni restrittive in relazione al numero e alle relative modalità di svolgimento.

Una delle fondamentali modalità con cui le persone detenute possono tenere i contatti con l’esterno è rappresentata appunto dalle conversazioni con il mezzo del telefono, le quali, ai sensi dell’articolo 39, regolamento esecuzione ordinamento penitenziario, possono essere autorizzate dall’Autorità competente quando riguardino congiunti o conviventi ovvero, in caso di persone diverse, ove ricorrano “ragionevoli e verificati motivi”. Al telefono si è aggiunto la videochiamata, prima sperimentale, ma ora - soprattutto per reazione alla pandemia - si è diffuso il suo utilizzo in tutte le carceri.

Con l’emergenza covid, per ovviare alla mancanza dei colloqui visivi, le telefonate e videochiamate erano diventate giornaliere. Ma, finita l’emergenza, si è ritornati nel passato. In realtà, attraverso la circolare del 26 settembre scorso, il Dap ha ricordato che l’attuale regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario consente ai direttori degli istituti carcerari di avere un’ampia discrezionalità nella concessione dei colloqui, anche quelli telefonici. Quindi, nonostante la legge detti un massimo di 10 minuti di telefonata a settimana, i direttori potrebbero comunque ampliare il limite.

Ma sempre un limite rimane e, come dimostra il caso del carcere di Pagliarelli, non tutti i direttori penitenziari usano questa loro discrezionalità. Per questo sarebbe il caso di valutare la proposta contemplata anche nella relazione della commissione presieduta da Marco Ruotolo (ordinario di Diritto costituzionale nell’Università Roma Tre) voluta dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Tra le linee guida c’è appunto la ‘ liberalizzazione’ delle telefonate per i detenuti appartenenti al circuito di media sicurezza qualora non vi siano “particolari esigenze cautelari, per ragioni processuali o legate alla pericolosità”. In particolare, la proposta prevede la possibilità di acquistare al sopravvitto apparecchi mobili “configurati in maniera idonea e funzionale con le dovute precauzioni operative (senza scheda e con la possibilità di chiamare solo i numeri autorizzati) per evitare qualsiasi forma di utilizzo indebito”. Per cui il detenuto sarebbe libero di utilizzare l’apparecchio nei tempi e con le modalità indicate dall’Amministrazione (es. solo nella camera di pernottamento).

“Ciò - si legge nella Relazione depositata oramai da un anno - consentirebbe di alleggerire il sistema con evidenti benefici per coloro (e non sono pochi) che, non avendo disponibilità economiche, potrebbero chiamare gratuitamente avvalendosi delle video-chiamate con Skype o simili applicazioni, come già sta avvenendo”. E risolvere anche l’annoso problema, legato alle difficoltà di verifica dell’intestazione dell’utenza telefonica, soprattutto per i detenuti stranieri. Le video chiamate potranno essere effettuate con i cellulari di recente acquistati dall’Amministrazione (3.200) o nelle sale attrezzate e video sorvegliate, già predisposte in diversi istituti, secondo le esigenze organizzative interne di ciascuno di questi.

A ciò si aggiunge che, nel merito, sono rimaste nel limbo due proposte di legge provenienti dalla regione Toscana e il Lazio. Proposte che fanno il paio con quella rilanciata dall’associazione Antigone, dove si chiede di riformare il regolamento, consentendo appunto la liberalizzazione delle chiamate. Utile soprattutto per prevenire i suicidi, così come d’altronde recita l’appello di don David Maria Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio: “Una telefonata ti può salvare la vita”.