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di Giulia D’Agnolo Vallan

Il Manifesto, 31 gennaio 2024

Al Sundance - concluso domenica scorsa - il regista americano ha presentato il folgorante “Hometown Prison”. Il film di Linklater non è ambientato nella Germania nazista ma nel Texas contemporaneo, a Huntsville, la cittadina dove il regista è cresciuto, il fulcro del sistema industriale carcerario che alimenta una buona parte della cassa statale, e la sede di sette prigioni, tra cui quella in cui si effettuano il maggior numero di esecuzioni made in Usa. Linklater, che è cresciuto guardando i muri di mattoni rossi di quella prigione, torna a casa ed esplora ciò che passa, e non, tra l’interno e l’esterno di quei muri, scavando nelle implicazioni economiche, umane e morali della coesistenza tra “la normalità” e l’omicidio di stato.

Si è chiuso domenica (ma i premi sono stati annunciati venerdì) il quarantesimo Sundance Film Festival - un’edizione segnata da un programma di premiere di alto profilo più avventurose di quelle viste degli ultimi anni (è stata decisiva, in quel senso, la presenza dell’etichetta newyorkese A24, con 3 film) e da una dimensione retrospettiva, suggerita organicamente sia dal compleanno (celebrato anche con proiezioni di greatest hits) che dal ritorno a Park City di autori “storici” come Steven Soderbergh (il suo The Presence è stato acquistato al festival da Neon) e Richard Linklater. Oltre al bellissimo Hitman (in prima mondiale a Venezia 2023 -u scirà via Netflix in primavera), il regista texano ha portato a Sundance un episodio della serie “God Save Texas”, adattata dal libro omonimo di Lawrence Wright, prodotta da Alex Gibney e in arrivo su Hbo il 26 febbraio.

Raccontati in prima persona da Linklater, con un’intimità quasi diaristica, i folgoranti ottantasette minuti di “Hometown Prison” sono l’antidoto più efficace alla pretenziosità formale e morale del film che probabilmente vincerà l’Oscar per il miglior lungometraggio straniero, “A Zone of Interest”. Il film di Linklater non è ambientato nella Germania nazista ma nel Texas contemporaneo, a Huntsville, la cittadina dove il regista è cresciuto, il fulcro del sistema industriale carcerario che alimenta una buona parte della cassa statale, e la sede di sette prigioni, tra cui quella in cui si effettuano il maggior numero di esecuzioni made in Usa. Linklater, che è cresciuto guardando i muri di mattoni rossi di quella prigione, torna a casa ed esplora ciò che passa, e non, tra l’interno e l’esterno di quei muri, scavando nelle implicazioni economiche, umane e morali della coesistenza tra “la normalità” e l’omicidio di stato. Se, nella forma dell’inchiesta, si sente l’instancabile passione investigativa di Gibney e di Wright, il tocco di Hometown Prison è puro Linklater - la sua ricerca profonda condotta in lunghe conversazioni con vecchi amici o conoscenti, attraverso la memoria di sua madre, parlando con impiegati del carcere. Non priva di uno humor che ricorda certi momenti di La vita è un sogno (Dazed and Confused) o Tutti vogliono qualcosa (Everybody Wants Some), due tra i suoi film che contengono riferimenti diretti agli anni trascorsi a Huntsville. Il Gran premio della giuria è andato a “In the Summers” di Alessandra Lacorazza

Sempre da segnalare, tra le serie, è “Conbody vs Everybody”, scritta e diretta da Debra Granik, un progetto affascinante e sentito (ancora in cerca di distribuzione, ne abbiamo visti 2 episodi) che segue la storia di un ex carcerato e della palestra che ha aperto nel Lower East Side di New York, dove impiega in qualità di trainer uomini e donne usciti di prigione come lui. Granik (due volte vincitrice a Sundance con Down to the Bone e Winter’s Bone) era anche uno dei tre membri della giuria del concorso lungometraggi Usa, che ha assegnato il gran premio della giuria e quello per la miglior regia a In the Summers, dell’esordiente colombiano/americana Alessandra Lacorazza. “Questo film ci ha colti di sorpresa. Come succede spesso con i grandi film. Non avevamo idea di dove il viaggio ci avrebbe portati ma, all’ultimo fotogramma, sapevamo di aver visto qualcosa di ipnotico. È la storia di una famiglia in frantumi che rifiuta di darsi per vinta. Un film come questo può passare inosservato. Ed è perché speriamo che abbia la visibilità che merita, in quanto straordinario esempio di cinema, che abbiamo deciso di premiarlo”, ha dichiarato la giuria di cui facevano parte anche lo scrittore/illustratore Adrian Tomine e l’attrice Lena Waithe. Vale la pena di citare la motivazione dei premi un po’ per la scelta controtendenza di concentrarli (le giurie e Sundance sono sempre troppo ecumeniche) e poi per l’accenno alla possibilità che il film risulti invisibile. Questa storia, in quattro capitoli, scanditi negli anni, delle visite estive di due bambine al padre, in un paesino del New Mexico, è sicuramente una delle cose più belle viste in concorso. Il ritratto di un rapporto impossibile (lui è fragile, insicuro, “fallito” sotto molti punti di vista; le seduce e le delude continuamente; loro crescono e sviluppando la distanza e i tumulti interiori dell’adolescenza) che si spezza e poi si rinnova nel rituale di quella vacanza imposta.

Nonostante gli interpreti includano, nel ruolo del padre, il rapper portoricano René Perez Joglar, alias Residente, e, in quello di una delle figlie cresciute l’attrice Lio Mehle (Mutt), In the Summers non era sicuramente uno dei titoli delle competizione intorno ai quali si era creata eccitazione e durante il festival - come per esempio il deludente Love Me di Sam e Andy Zuchero, con Kristen Stewart e Steven Yeun, sprecati nel ruolo di una boa e di un satellite; o di A Real Pain, il secondo film di Jesse Eisenberg, acquistato al festival dalla Searchlight.

Forse perché la scelta di mettere i quattro concorsi online, nella seconda settimana del festival (mentre le premiere si potevano vedere solo in presenza) ha inevitabilmente messo in secondo piano i film più piccoli, che poi si potevano “recuperare” anche non in sala - con il rischio magari di vederli male, non vederli del tutto. Il che è un po’ un’ingiustizia e un peccato perché la dimensione della scoperta è sempre stata importante nella storia del Sundance.