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di Liana Milella

La Repubblica, 7 settembre 2023

L’ex toga, oggi direttore di Questione giustizia, lancia l’allarme sulla riforma caldeggiata dalla maggioranza, Azione e Iv. In commissione Affari costituzionali della Camera parte l’esame delle quattro proposte. L’obiettivo? “Il controllo della politica sull’azione penale”. Non ha dubbi Nello Rossi, l’ex toga della Cassazione e di piazzale Clodio, oggi direttore della rivista di Magistratura democratica Questione giustizia, che esamina con Repubblica i perché dell’ennesimo tentativo per separare definitivamente giudici e pubblici ministeri, visto che proprio oggi, nella commissione Affari costituzionali della Camera, parte l’esame delle quattro proposte per una possibile riforma costituzionale.

La separazione delle carriere è la panacea di tutti mali della giustizia in Italia? Certezza o imbroglio?

“Chiariamo subito una cosa. Il confronto politico che si apre alla Camera va ben oltre il tema annoso della separazione delle carriere”.

Perché dice questo?

“Perché in gioco ci sono il complessivo equilibrio tra poteri dello Stato e il grado di indipendenza di “tutti” i magistrati, giudici e pm. Ed è in discussione la volontà di una parte ampia della classe politica - di maggioranza e di opposizione - di acquisire un peso crescente e decisivo negli organi di governo della magistratura e nel controllo sull’esercizio dell’azione penale. Detto questo, che la separazione delle carriere di giudici e pm non abbia virtù taumaturgiche è sotto gli occhi di tutti. Di fatto già esiste, ma non ha avvicinato di un millimetro la soluzione dei più gravi mali della giustizia italiana: la lentezza dei processi, la farraginosità delle procedure, le difficoltà nell’immissione di nuove tecnologie, le carenze dell’edilizia giudiziaria e via dicendo”.

Partiamo dalla coda. Lei ha scritto un lungo articolo su Questione giustizia in cui ipotizza che vi sia un fine recondito in questo progetto. Di che si tratta?

“È un fatto, che nel corso dell’annosa partita sulla separazione delle carriere è mutata la posta in gioco. Oggi le proposte di legge di revisione costituzionale presentate da Azione, Lega, Italia viva, Forza Italia non mirano solo a creare due itinerari professionali differenti, con distinti concorsi di accesso e diversi governi delle magistrature giudicante e requirente. Il loro nucleo centrale sta altrove: nel proposito di aumentare, sino alla metà, il numero dei politici nel governo della magistratura e nella cancellazione della valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale”.

Se le cose stanno come lei dice, l’intento del governo non sarebbe quello di rendere i giudici più efficienti, e quindi garantire più legalità nel nostro paese, ma semplicemente quello di mettere la giustizia sotto il diretto controllo del governo...

“Per il momento il governo e il ministro della Giustizia hanno preferito non presentare una propria proposta, lasciando il campo aperto a un fronte composto da forze di maggioranza e pezzi delle opposizioni. Le iniziative legislative promosse da questo singolare schieramento ricalcano pedissequamente - con la sola eccezione del testo presentato da Forza Italia - la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’Unione delle Camere penali nella scorsa legislatura. Con tutto il rispetto, l’idea di riscrivere la Costituzione al traino delle Camere penali non mi sembra un obiettivo alto ed entusiasmante per parlamentari che si mostrano gelosi della propria autonomia al punto di scorgere indebite interferenze in ogni posizione assunta dai magistrati”.

Già oggi, con le riforme Bonafede e Cartabia, pm giudici sono di fatto due mondi separati, si può passare solo una volta da una parte all’altra. Allora dov’è il problema?

“Se per separazione delle carriere s’intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i ruoli professionali di giudici e pm allora essa, con la riforma dell’ordinamento giudiziario del 2022, si è ormai pienamente realizzata. Ma oggi si vuole altro: la possibilità per le maggioranze politiche di turno di decidere, con legge ordinaria, i modi e le forme dell’esercizio dell’azione penale, modellando la direzione e il corso della giustizia penale. In altre parole, la discrezionalità dell’azione penale unita a un’accresciuta influenza della politica nella gestione della vita professionale dei magistrati.

La separazione delle carriere è stata l’ossessione di Berlusconi, ma il suo disegno costituzionale non è arrivato a buon fine. Berlusconi aveva un intento preciso, rendere i giudici più forti rispetto ai pm. Ma è davvero così? E poi, cosa succede se il pubblico ministero diventa un dipendente del governo? Non vedremo più le indagini contro la classe politica?

“Trasformare il pm in un “avvocato della polizia” - era questa l’idea di Berlusconi e di Alfano - non avrebbe affatto reso “più forti” i giudici ma indebolito l’indipendenza di tutta la magistratura a vantaggio degli apparati di polizia. E poiché questi dipendono dal governo sarebbe divenuto molto problematico, per non dire impossibile, indagare e perseguire i reati commessi da appartenenti alle forze di polizia e alla maggioranza di governo”.

Gli avvocati. Lei ha capito per quale ragione sono proprio loro a sostenere la necessità della separazione delle carriere?

“Gli avvocati sono convinti che solo scavando un solco invalicabile tra giudici e pm si assicura l’equilibrio tra accusa e difesa, che ai loro occhi oggi è compromesso dal rapporto di colleganza tra giudicanti e requirenti. Ma questa convinzione è smentita sul piano “quantitativo” dalle elevate statistiche sulle assoluzioni e, sul piano “qualitativo”, dal rigetto delle ipotesi accusatorie in grandi processi nei quali importanti uffici di procura avevano investito molto in termini di impegno e di immagine. Sinceramente se fossi un avvocato mi preoccuperei molto di più di trovarmi di fronte un pm “separato” ma operante nell’orbita dell’esecutivo”.

In questo momento in Italia, secondo lei, qual è l’orientamento della maggioranza dei cittadini su questi temi? E che accadrebbe ove si andasse a un referendum confermativo dell’eventuale riforma costituzionale?

“Formulare o meglio azzardare previsioni politiche non è il mio mestiere. Ricordo solo che è assai improbabile che questa legge di revisione della Costituzione venga approvata con la maggioranza di due terzi dei componenti delle Camere. Perciò essa potrà essere sottoposta a un referendum popolare confermativo, nel quale non è previsto un quorum specifico. Sarebbe un’occasione per rappresentare ai cittadini l’impatto sulla loro vita e sulla tutela dei loro diritti di una giustizia più orientata e governata dalla politica”.

Se dovesse dare un consiglio alla maggioranza sulle effettive emergenze legislative di questo Paese, lei invece su cosa punterebbe? La generalizzata violenza su donne e soggetti deboli, animali compresi, la paurosa frequenza di incidenti sul lavoro, l’inserimento dei migranti nella nostra società?

“Escludo che qualcuno voglia consigli da me. Penso però che i parlamentari si debbano confrontare con le drammatiche emergenze che lei ha ora menzionato con spirito aperto e senza paraocchi ideologici, ricercando insieme soluzioni condivise. Ecco: un diritto penale condiviso sarebbe una buona cosa per questo Paese”.