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di Francesco Saverio Marini*

L’Espresso, 25 giugno 2023

Molte sono le norme contenute nel disegno di legge in materia di giustizia approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri: dal divieto di pubblicare le intercettazioni degli indagati agli avvisi di garanzia “parlanti”; dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio alle modifiche relative al traffico di influenze; dalle garanzie relative alla custodia cautelare alle limitazioni al potere di appellare le sentenze di assoluzione.

Tutte misure che sono caratterizzate da un tratto comune, quello di fondarsi su un approccio autenticamente garantistico, teso a incrementare la tutela dell’indagato e dell’incolpato fino all’eventuale definitiva condanna. Ciò vale anzitutto nella fase in cui si compie l’atto illecito, nella quale il soggetto deve essere messo nella condizione di essere consapevole dell’illiceità della sua condotta: da qui l’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la limitazione del traffico di influenze, cioè di due fattispecie illecite molto generiche. Poi nella fase di avvio delle indagini, con l’introduzione dell’avviso di garanzia “parlante”, in modo da mettere subito a conoscenza dell’indagato una descrizione sommaria del fatto su cui si indaga.

Quindi, nella fase dell’applicazione delle misure cautelari, nella quale viene introdotta la garanzia di essere previamente ascoltato e di essere giudicato da un collegio e non da un singolo magistrato. Ancora, nelle successive fasi processuali, nelle quali si cerca di evitare la condanna mediatici, limitando la pubblicazione delle intercettazioni a tutela soprattutto delle persone non interessate dalle indagini. Infine, nella fase dell’impugnazione, escludendo l’appellabilità per i reati meno gravi. Indipendentemente dalla condivisibilità delle singole misure, sulle quali si dovrà esprimere il Parlamento, quello che merita di essere sottolineato è l’ideologia di fondo che connota l’iniziativa governativa. Con il disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, infatti, può individuarsi per il governo di Giorgia Meloni il momento inaugurale della concretizzazione di quella rivoluzione liberale e garantistica che rappresenta uno dei leitmotiv della politica di centrodestra e che trova le sue radici già nel momento genetico della coalizione, ossia nel successo politico che ha connotato la discesa in campo nel 1994 di Silvio Berlusconi e la creazione di Forza Italia.

Sono noti e sin troppo analizzati i motivi che hanno in passato ostacolato alle maggioranze parlamentari di centrodestra nel realizzare compitamente questo obiettivo. Il primo fra tutti quello squilibrio istituzionale, nella dialettica tra magistratura e politica, che è stato uno dei prodotti più dannosi della patologica diffusione del finanziamento illecito ai partiti e della connessa e conseguente sovraesposizione mediatica che ha accompagnato l’indagine di “Mani pulite” e che ha finito per condizionare i rapporti tra giudici e organi democratici. Squilibrio che ha trovato il suo acme nella modifica dell’articolo 68 della Costituzione e nel sostanziale superamento delle immunità legate alla carica di deputato e di senatore, residuando solo quelle connesse al concreto ed episodico esercizio delle funzioni parlamentari.

È evidente, infatti, e non contestabile che qualsiasi proposta in ambito giudiziario riconducibile, direttamente o indirettamente, al centrodestra è stata guardata con sospetto, anche in relazione a un attivismo delle procure nei confronti di Berlusconi, che si è rivelato tanto intenso, quanto anomalo. Si è creata, cioè, una dinamica perversa nella quale ogni modifica a carattere garantistico non è stata interpretata come un ampliamento dei diritti dell’incolpato o del soggetto sottoposto a indagini, ma come una forma limitativa dei poteri della magistratura o addirittura elusiva di attività processuali già in corso. Insomma, la soppressione delle immunità parlamentari e il tentativo da parte di molte procure di eguagliare il successo mediatico delle indagini di “Mani pulite” hanno prodotto, oggettivamente, delle condizioni politiche che rendevano in passato estremamente complessi e divisivi tutti i tentativi di riforma della giustizia.

La proposta del governo oggi ha, invece, la forza di una “spersonalizzazione” del tema, che trova riscontro in un atteggiamento più dialogante, e in alcuni casi addirittura convintamente adesivo, di una parte delle forze di opposizione. Sulla questione relativa all’abuso d’ufficio, per esempio, molti dei sindaci e dei rappresentanti locali di centrosinistra hanno manifestato, con la forza dei numeri, una sostanziale condivisione dell’iniziativa, auspicandone la rapida approvazione. Con un po’ di ottimismo, si può allora immaginare da parte di tutti gli attori del tema giustizia - dalle istituzioni alle singole forze politiche, dalle correnti della magistratura ai mass media - un approccio del tutto nuovo e finalmente privo di preconcetti, favorito dalla presenza di un ex magistrato come ministro della Giustizia e di una leader e di un partito di maggioranza relativa notoriamente contrari a forme di lassismo giudiziario o a favorire situazioni generalizzate di impunità.

Sembra, cioè, in via di superamento quel clamoroso equivoco che tende a far coincidere le garanzie dell’indagato e dell’imputato con una sorta di diritto a non essere punito, la presunzione di non colpevolezza con la pretesa a non essere condannati, il principio di rieducazione della pena con il diritto a non scontare la pena anche a valle della condanna definitiva. Il principio liberale e l’ideologia garantista non sono, infatti, antitetici alle esigenze della sicurezza e dell’ordine, alla tutela dei valori fondanti della nostra società e a un approccio anche severo nei confronti di coloro che violino o eludano le regole della convivenza civile. Nella speranza che possa trovare consolidamento questa nuova e più matura prospettiva, potrebbero entrare nel dibattito pubblico anche degli argomenti relativi al tema della giustizia considerati negli ultimi decenni difficilmente digeribili o politicamente tabù.

Gli ambiti sono molteplici, ma, per limitarci a qualche esempio, un confronto e una riflessione non preconcetta e non faziosa meriterebbero anche il tema della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, della ricerca di un nuovo equilibrio tra politica e magistratura, dell’indipendenza e delle funzioni delle magistrature speciali, del contrasto al correntismo diffuso all’interno della magistratura, in relazione tanto alla composizione del Csm, quanto alle funzioni dell’organo. E si potrebbe continuare.

Mi rendo conto che rispetto a un mero disegno di legge si potrebbe ravvisare in queste parole un eccesso di entusiasmo e si potrebbe citare Franco Califano che cantava “nun semo ragazzini che se illudemo a fa’“: ma il garantismo e l’ideologia liberale hanno storicamente richiesto 5: metodi coraggiosi e una grande scommessa sull’uomo. Due presupposti essenziali per il pieno sviluppo di ogni società.

*Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata