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di Roberto Saviano

Corriere della Sera, 9 settembre 2023

L’altra sera, proprio mentre guardavo in tv un approfondimento su Joe Petrosino, il super poliziotto italo americano che per primo aveva compreso i forti legami tra la criminalità organizzata a New York e la mafia siciliana - Petrosino fu ucciso a Palermo mentre seguiva una pista investigativa - ho pensato a come la ghettizzazione, l’emarginazione e la miseria nera, la povertà sia economica che educativa non possano che avere come sbocco il degrado e il crimine. E spesso è crimine organizzato, perché chi è emarginato e povero deve consorziarsi per poter agire. Da questa banalissima analisi sulla genesi delle organizzazioni criminali si evincono le prime, enormi responsabilità di quella che generalmente, con troppa indulgenza forse, definiamo la società civile di riferimento.

Rimasi colpito dalle parole che l’attrice Vittoria Belvedere, calabrese di origini, emigrata al Nord con la famiglia, ha affidato a una recente intervista: “In Brianza da piccola ho capito cosa è il razzismo. Le mamme dicevano ai figli: “Non giocate con lei, è una terrona”“. In generale questo è l’atteggiamento verso chi arriva da fuori, da lontano. C’è tanta diffidenza e, se lo straniero è anche povero, allora davvero esiste una quasi totale impossibilità di solidarizzare con la condizione del nuovo arrivato. Si costruisce un muro fisico, burocratico, di totale mancanza di empatia tale per cui, fare blocco, unirsi come cemento diventa quasi una necessità. Non accade a tutti, ma accade. Così, per quanto questa analisi possa sembrare semplice, ritengo che spieghi bene anche perché ci sono interi quartieri a Napoli, aree urbane nella primissima periferia, sorte senza soluzione di continuità con i quartieri oggi valorizzati dal turismo, che non riescono però, nonostante l’innegabile continuità territoriale, a trovare un riscatto.

Quartieri in cui gli abitanti sono totalmente abbandonati a sé stessi: gli abitanti per bene, che diventano vittime sacrificali, e gli abitanti per male, che per usare una metafora in voga in questi giorni, diventano lupi. E oggi la figura del lupo è stata ripresa proprio per descrivere un’attitudine predatoria di carattere sessuale, con riferimento allo stupro di Palermo prima e di Caivano dopo. Non è un caso che la fiaba di Cappuccetto Rosso abbia spesso suggerito interpretazioni che vanno in questa direzione: la mantellina rossa potrebbe simboleggiare l’arrivo del ciclo mestruale, quindi la maturità sessuale raggiunta. Il consiglio che la madre dà alla giovane donna ancora bambina è di non attraversare il bosco, dove il lupo potrebbe farle del male, abusando di lei, credendola matura. La fiaba ha un’origine remota, Perrault la scrisse alla fine del ‘600, e a quel tempo la madre non sarebbe stata accusata di vittimizzazione secondaria.

Oggi per fortuna le cose sono cambiate e chi dice “non passare di là perché altrimenti ti violentano” di fatto sta puntando il dito sulla vittima e non sul carnefice. Ma cosa accade quando ghetto e bosco coincidono? Quando tutto è già palese perché sono avvenute in passato violenze analoghe che non hanno trovato alcuna risposta concreta da parte delle istituzioni? Oggi, la tragedia di Caivano viene raccontata e riceve attenzione perché viene dopo un altro crimine insopportabile, quello di Palermo. Ma è tardi, è tardissimo. In un ghetto che le organizzazioni criminali considerano storicamente a propria disposizione, i governi che si sono succeduti negli ultimi quattro decenni sarebbero dovuti intervenire ben prima.

Perché non si è fatto? Perché povertà estrema e mancanza di prospettive rendono il voto acquistabile con poco. Da territori abbandonati sono in molti a guadagnare in termini di manodopera criminale e di sostegno politico. Chi perde, invece, è chi ci vive. A Caivano servono investimenti veri e costanti. Quelli che non sono stati fatti negli ultimi 4 decenni. Che prospettive hanno Caivano e tutte le aree degradate e povere del Sud ad alta densità criminale, se gli investimenti per la riqualificazione previsti nel Pnrr sono stati cancellati senza spiegazioni razionali? Serviva davvero questa ennesima tragedia annunciata per portare attenzione? E quanto durerà? La politica dei proclami è del tutto deresponsabilizzata e tra qualche giorno tutto tornerà come sempre. Tanto chi vive a Caivano, come diceva Eduardo, “è cos’ ‘e niente “, no?