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di Romina Marceca

La Repubblica, 21 novembre 2023

L’appello delle madri di vittime di femminicidio. Si rivolgono al governo per chiedere pene certe e nessun permesso premio per gli assassini delle loro ragazze. “Nessuno sconto di pena, nessun permesso premio per chi ha ucciso le nostre figlie. Vogliamo pene certe”. È l’appello al governo da parte delle mamme di ragazze uccise dai loro ex. Mamme che conoscono quell’orrore per averlo visto coi loro occhi sui corpi delle figlie. Pamela, Desirée, Noemi, Giordana, Lauretta, Jennifer, Anna sono state uccise come Giulia Cecchettin.

“Questa ragazza è figlia nostra, vorremmo abbracciare il suo papà, stiamo rivivendo tutto il dolore del giorno in cui quegli assassini ci strapparono le nostre ragazze. Adesso mi chiedo quale pena sarà decisa per l’assassino di Giulia”, è la domanda che si fa Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, romana di 18 anni uccisa nel 2018 a Macerata da quattro uomini.

La mamma di Roma insieme ad altre sette donne lancia un appello attraverso un video che da qualche giorno gira sui social e dove si chiede giustizia attraverso pene certe per chi ha ammazzato le figlie. “Dei quattro carnefici di mia figlia solo uno è in carcere, gli altri tre girano indisturbati”, spiega Alessandra Verni. “Siamo vittime invisibili di una giustizia non certa”, aggiunge Barbara Mariottini. Sua figlia Desirèe è stata drogata, violentata e trovata morta a San Lorenzo, a Roma: “Giulia è anche figlia di una società che non vuole un cambiamento. Ho sperato tutti i giorni che l’epilogo non fosse stato quello di Desirèe. Invece ha avuto lo stesso destino”. Quello uguale ad altre 104 donne dall’inizio del 2023.

“Ci vuole uno stravolgimento legislativo e insieme culturale. Noi andiamo nelle scuole per scardinare gli stereotipi e i pregiudizi. Ma la mostruosità si fa sempre avanti - è il grido di allarme di Barbara Mariottini -. Mia figlia Dalila, oggi 10 anni, soffre ancora tanto per la sorella. Non è venuto mai nessuno a chiedermi come stavo. Siamo state abbandonate, il percorso psicologico lo abbiamo seguito privatamente. Spero che non succeda anche alla famiglia di Giulia. Dare giustizia alle figlie morte è la nostra missione”.

Dopo cinque anni il processo per la morte di Desirèe non si è concluso. “Il 20 ottobre è arrivata la Cassazione per il primo mostro, Yousef Salia, condannato all’ergastolo. Per altri due - continua la mamma della ragazzina - è stato confermato l’omicidio ma dobbiamo tornare in appello, un altro è stato condannato per cessione e violenza sessuale ma non per omicidio. È assurdo dopo 5 anni”. C’è sconforto nelle sue parole: “In Italia è difficile vedere in carcere a vita chi uccide. Ci sono gli sconti di pena, la buona condotta, nei processi se non viene rispettata la lingua originale può saltare tutto”.

Giordana Di Stefano aveva 20 anni quando Luca Priolo l’ha accoltellata a Nicolosi, in provincia di Catania. Era il 2015. Vera Squatrito, la mamma, adesso dice: “Gli occhi dell’ex di Giulia sembrano gli stessi di Priolo. Mi sento quelle coltellate addosso. Dobbiamo fare rete e formazione tra i genitori e soprattutto con quelli di figli maschi che spesso sono restii a chiedere aiuto perché non vogliono accettare di avere in casa giovani violenti”. Vera adesso è mamma e nonna della sua nipotina, la figlia che Giordana aveva avuto da Luca Priolo. “Chiedere pene certe non significa che siamo mamme vendicatrici ma è un segnale di rieducazione per i giovani. Se noi premiamo chi ha commesso un omicidio abbiamo sminuito il reato che hanno commesso”.

È quanto pensa anche Imma Rizzo, mamma di Noemi Durini uccisa a 16 anni a Specchia (Lecce) nel 2017. “Facciamole almeno riposare in pace. Sappiamo come va a finire, purtroppo, perché è stato già detto che Turetta ha disturbi psichici. Si trova sempre un espediente per il carnefice e invece no, ci si deve concentrare sulle vittime”, dice la mamma pugliese. Che ha scoperto come l’assassino della figlia dopo 6 anni dall’omicidio beneficiasse di un minimo di libertà: “Lucio Marzo dal 2020 beneficiava di un permesso premio e poteva così uccidere qualcun’altra, è stato fermato al volante della sua auto ubriaco”.

Ma la mamma non si è arresa: “Insieme alla mia avvocata siamo riuscite attraverso varie denunce a farlo spostare nel carcere per adulti e non più in quello minorile. Voglio leggere le motivazioni del permesso premio e aspetto che Matteo Salvini gli revochi la patente. Non può un assassino conseguire la patente in carcere, già beneficia dell’abbreviato e di una pena ad appena 18 anni di carcere”.